Blasone. D’azzurro, cappato d’oro, all’aratro sormontato da una stella di 8 punte, il tutto dello stesso; a destra un ramo fiorito di mandorlo posto in sbarra, a sinistra un fascio di 6 ceri accesi legati da cordicelle, il tutto al naturale; col capo passante di rosso, al libro aperto d’argento, caricato delle lettere maiuscole A e Ω del campo. Lo scudo accollato alla croce astile trifogliata gemmata di 5 pezzi di rosso, e timbrato da un cappello prelatizio di verde con 6 fiocchi per lato dello stesso.
Motto. Amore Amoris tui.
Spiegazione simbolico-teologica. L’aratro vuole identificare il servizio del Vescovo per la Chiesa, fermo e paziente come il lavoro silenzioso ma costante del bue che, trascinando il vomere, prepara il solco affinchè il seminatore vi possa seminare il buon seme,
la Parola di Dio [1], rappresentata nel capo dal Libro della Sacra Scrittura con lettere Alpha e Omega, a ricordare che il Signore è “l’Alpha e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine” [2].
Il libro, figura molto diffusa negli stemmi ecclesiastici contemporanei [3], è d’argento metallo che in araldica, per la sua trasparente brillantezza, può simboleggiare la verità e la giustizia, doti su cui deve poggiare lo zelo pastorale del Vescovo nel diffondere la Parola; il campo e le lettere che campeggiano sulle pagine aperte sono di rosso, colore che fa pensare al fuoco della carità: l’annuncio del Vangelo è l’essenza della carità pastorale, e ogni azione missionaria ha nella carità di Cristo il suo fondamento e il suo spazio vitale.
Il campo principale dove campeggia l’aratro è completato dalla presenza di una stella di otto punte.
Un saggio proverbio africano recita: “Bisogna attaccare l’aratro a una stella”: l’aratro è la vita quotidiana, la fatica di essere uomini, il lavoro, è il mistero del dolore, mentre la stella è Cristo, “la stella radiosa” [4] del mattino di Pasqua, la stella che guida e rendebella la notte.
Un analogo proverbio arabo dice: “Quando vai ad arare, se vuoi fare il solco diritto, punta l’aratro verso una stella“: agganciare l’aratro alla stella indica che la nostra vita, il nostro lavoro, la nostra fatica quotidiana è guidata da Cristo, dalla parola di Dio, messaggio di speranza e d’amore.
Così, nello stemma di Mons. Marciante il simbolo della stella è assunto nel suo primario e più antico valore cristologico, valore che trova le sue radici direttamente nella Sacra Scrittura, pur essendo la stella figura applicata da tutta una rilettura simbologica medievale anche alla Beata Vergine Maria (poi confluita nelle litanie lauretane: Stella matutina), una rilettura peraltro molto di attualità in moltissime realizzazioni araldico-ecclesiastiche contemporanee. Anche il numero dei raggi della stella non è casuale: il numero 8 [5] richiama le Beatitudini, che risplendono pienamente in Cristo e devono far splendere la vita del vescovo – e di ogni battezzato – in quanto annunciatore del luminoso Vangelo della salvezza. Queste figure campeggiano sull’azzurro, il colore che richiama l’incorruttibilità della volta celeste, le idealità che salgono verso l’alto; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio. Il ramo di mandorlo fiorito è un richiamo simbolico alla Diocesi affidata al governo e alla cura pastorale del Vescovo di Cefalù. La scelta della figura trae la sua ispirazione da un testo di Geremia: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Che cosa vedi, Geremia?». Risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla» [6]. Questa immagine vuole essere per il Vescovo Giuseppe un invito a guardare al futuro della diocesi affidatagli con speranza, riflettendo sul cammino che il Signore ha fatto percorrere a quella chiesa locale, per raccogliere ifrutti di una lunga seminagione. Sin dall’epoca normanna Cefalù viene definita terra d’incontro tra i popoli, luogo privilegiato di sostentamento dei poveri e di quanti vi transitano. Uno dei tratti distintivi che caratterizza la Chiesa di Cefalù è lo spirito di carità. Ma, nello stesso tempo, il segno del mandorlo è un invito a rimanere svegli per saper vedere i segni del nuovo nascosti tra le pieghe del tempo presente con la certezza che il Signore veglia perché la sua parola non ritorni a Lui senza aver compiuto ciò per cui l’ha mandata.
Inoltre il fiore di mandorlo richiama il Patrono di Mons. Marciante, San Giuseppe. Infatti lo Sposo della Beata Vergine Maria ha come suo attributo iconografico caratteristico un bastone fiorito, precisamente un bastone cimato da fiori di mandorlo. Ciò richiama il bastone di Aronne di cui si parla nel libro dei Numeri per indicare il sommo sacerdote come custode del tabernacolo [7]: Giuseppe è stato scelto direttamente da Dio per custodire un “tabernacolo” ancor più prezioso, Gesù stesso. Se del resto il mandorlo è il primo fiore che appare in primavera sugli alberi ad annunciare la nuova stagione, San Giuseppe annuncia che l’Incarnazione è vicina. Il fascio di 6 ceri accesi ricorda i ceri portati in processione dai fedeli delle varie corporazioni durante la festa di Sant’Agata, patrona di Catania, diocesi di provenienza di Mons. Marciante. Il mandorlo e il fascio di ceri si stagliano rispettivamente su un campo d’oro, il più nobile dei metalli in araldica (che poi si ritrova come smalto delle figure nel campo principale dello scudo). Esso richiama il valore inestimabile della fede, ma anche la beatitudine della nuova vita [8]. Non si può non pensare inoltre alla “Luce gentile” che si irradia dal sublime volto del Cristo Pantocratore nel dorato catino absidale della Cattedrale di Cefalù [9]. Le parole del motto episcopale sono tratte dalle Confessioni di Sant’Agostino: “Amore amoris tui facio istuc” (2,1,1;11,1,1) e dall’Absorbeat di San Francesco d’Assisi: "Absorbeat, quaeso, Domine Iesu Christe, mentem meam ignita et melliflua vis amoristui, ut amore amoristuimoriar, qui amore amoris mei dignatus es mori" – “Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perchè io muoia per amore dell’amor tuo, come Tu ti sei degnato di morire per amore dell’amor mio”. La scelta di questo motto vuole identificare il ministero episcopale come risposta concreta all’amore per Cristo e per ciò che di più caro gli appartiene.
Don Antonio Pompili
Vice Presidente Censore
Istituto Araldico Genealogico Italiano
[1] Spiegando la parabola del seminatore Gesù afferma: “Il seminatore semina la parola” (Mc 4,14), o, nella versione lucana: “Il seme è la parola di Dio” (Lc 8,11). Anche nella prima lettera di Pietro troviamo un messaggio molto simile quando si afferma che i credenti vengono“rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,23).
[2] Ap 22,13. L’espressione Alpha e Omega già in Ap 1,8“presenta, riferendoli a Dio, gli estremi dell’arco di sviluppo proprio dell’azione creativo-salvifica: questa qualifica di Dio apparirà poi interscambiabile con Cristo (definito alla stesso modo in Ap 22,13)”: U. Vanni, L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, Bologna 1997, p. 113.
[3] Cf. A. Pompili, “Il libro e la stella: simbolo e arte di due figure diffuse negli stemmi ecclesiastici italiani contemporanei”, in Nobiltà, Rivista di Araldica, Genealogia, Ordini Cavallereschi, n. 86 (2008), pp. 407-432.
[4] L’espressione “stella del mattino” è attribuita dal Figlio dell’uomo a se stesso in Ap 22,16, ad indicare l’adempimento in se stesso di tutte le promesse. Anche nella seconda lettera di Pietro è affermato che la stella mattutina della fine dei tempi è Cristo, tanto che l’autore ricorda ai fedeli la parola dei profeti che come lampada brilla in luogo oscuro, “finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori” (2Pt 1,19).
[5] Notiamo che il numero 8 e il numero 6 a proposito dell’uso della stella negli stemmi è più caratteristico dell’araldica italiana, rispetto a quella francese che preferisce 5 punte e a quella di area germanica che ne preferisce 6 (cfr. D.L. Galbreath – L. Jéquier, Manuel duBlason, Lausanne 1977, p. 154).
[6] Ger 1,11-12. Interessante è notare che in ebraico il mandorlo era chiamato shaqed, cioè “colui che vigila”, per cui in antiche traduzioni della Bibbia si trova “albero che vigila”, anziché mandorlo. L’etimologia non desta meraviglia se si pensa che il mandorlo è il primo di tutti gli alberi a fiorire. A questo duplice significato viene fatto riferimento quando Geremia vede un ramo di mandorlo e Dio conferma la visione: Dio stesso è l’albero che vigila, cioè il mandorlo!
[7] Quando nel deserto gli israeliti mormorarono contro i privilegi sacerdotali di Aronne e della sua tribù, il Signore ordinò di prendere un bastone per ognuna delle dodici tribù e di contrassegnarlo col nome dei capi: quando il mattino successivo Mosè entrò nella tenda del convegno, “ecco il bastone di Aronne per il casato di Levi era fiorito; aveva prodotto germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle” (Nm 17,17-23)
[8] Ben più preziosa dell’oro provato col fuoco è la fede in Cristo (cf 1Pt 1,7). Nella Gerusalemme celeste la vita splenderà come bene preziosissimo a tutti accessibile, dal momento che essa si presenterà “di oro puro, simile a terso cristallo” (Ap 21,18).
[9] Bellissima la preghiera del Beato John Henry Newman composta dopo il suo viaggio in Sicilia: “Guidami Tu, Luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, sii Tu a condurmi! La notte è oscura e sono lontano da casa, sii Tu a condurmi! Sostieni i miei piedi vacillanti: io non chiedo di vedere ciò che mi attende all’orizzonte, un passo solo mi sarà sufficiente”.