Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Santissimo Salvatore
Sagrato della Basilica Cattedrale
Cefalù, 06 agosto 2022
Saluto le Autorità civili e militari presenti,
Saluto voi tutti, presbiteri, diaconi e fedeli qui riuniti per celebrare la festa della trasfigurazione di nostro Signore, il Santissimo Salvatore.
Nella seconda lettura (2Pt 1,16-19), l’Apostolo Pietro ci testimonia la visione avuta sul monte: egli ha udito la voce di Dio che invita gli Apostoli ad ascoltare il Figlio.
Pietro ci dice che seguire Gesù non è andare «dietro a favole artificiosamente inventate», ma che la sua fede è fondata sulla parola del Signore che lui stesso ha sentito.
A sostegno della nostra fede, continua Pietro, abbiamo anche «la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come una lampada che brilla in un luogo oscuro».
La profezia di Daniele è portata alla sua pienezza in Gesù ed è proprio lui che applicherà a se stesso l’espressione “figlio dell’uomo”, facendo riferimento sia all’aspetto più umano della sofferenza (Lc 22,22) sia a quello più divino di rimettere i peccati (Lc 5,24) e del giudizio finale (Lc 21, 27.36).
La luce che si irradia da Gesù nel momento della sua trasfigurazione, con la presenza di Mosè (la legge) ed Elia (i profeti), ci rivela la natura umana e divina di Gesù.
La trasfigurazione appare come un anticipo della risurrezione: Gesù, il servo di tutti, “il figlio dell’uomo”, l’amato dal Padre è la Parola d’ascoltare e da accogliere.
Il racconto della trasfigurazione è collocato nel contesto dell’annuncio della passione: il figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso.
E subito, dentro quel momento di oscurità, il Vangelo ci rivela il volto di Cristo trasfigurato su cui tenere fissi gli occhi per affrontare il momento in cui il suo volto gronderà sangue come nell’orto degli ulivi.
La trasfigurazione avviene su un monte.
I monti sono i luoghi più vicini al cielo e perciò simbolo della vita che vuole sollevarsi dal basso, dal frastuono, dal rumore, dalla confusione; dalla dispersione per ascendere verso la luce, verso orizzonti sempre più ampi, verso l’unificazione interiore per entrare nel cerchio della preghiera e della contemplazione.
A questo punto della riflessione mi faccio aiutare dalla testimonianza di un grande Padre della Chiesa, Sant’Agostino:
Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell'intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29, 11).
Entrai e vidi con l'occhio dell'anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo.
Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un'altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l'olio che galleggia sull'acqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato.
E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce [1].
La preghiera dispone all’ascolto e trasforma il cuore, gli occhi e la mente. Anche a noi tante volte toccati dalla gioia di Gesù abbiamo detto «Signore è bello per noi stare qui».
Quando il cuore è in festa vorremmo che quell’esperienza durasse per sempre.
I discepoli nella trasfigurazione sperimentano la verità delle parole incise sul libro che il nostro Pantocratore tiene aperto sulla mano sinistra: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
Ma sono avvertiti: «Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va» (Gv 12,35). «Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce».
Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro» (Gv 12,36).
Sul monte i discepoli vengono immersi in una nube: «Subito dopo una nube li coprì con la sua ombra, all’entrare in quella nube ebbero paura».
Gesù immerso nella luce della risurrezione, sarà sempre presente in mezzo ai suoi, ma in modo nascosto, così l’unico riferimento certo sarà la sua Parola.
Ecco perché dalla nube la voce che conferma l’identità del “figlio dell’uomo” come il Figlio di Dio, e dice “ascoltatelo”. «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,46) .
I discepoli testimoni privilegiati della trasfigurazione hanno trasmesso un'esperienza precisa.
Dio è bellezza come dice San Francesco quando prega:
Tu sei bellezza,
tu sei gaudio e letizia,
tu sei tutta la nostra dolcezza [2].
Concludo ancora con la bellissima preghiera di Sant’Agostino tratta dalle Confessioni:
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai.
Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature.
Eri con me, e non ero con te.
Mi tenevano lontano da te le tue creature,
inesistenti se non esistessero in te.
Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità;
balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità;
diffondesti la tua fragranza,
e respirai e anelo verso di te,
gustai e ho fame e sete;
mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace [3].
[1] Agostino, Confessioni, 10, 18.
[2] Fonti Francescane, 261.
[3] Agostino, Confessioni, 10, 26-27.