Mettiamoci in cammino!
Lettera del Vescovo Giuseppe per (ri)dare speranza alle Madonie.
Carissimi fratelli e sorelle,
qualche sera fa mi trovavo nel mio studio per consultare alcuni libri, quando avvertivo, nitido e deciso, l'ululato dello scirocco. Quel vento, forte e caldo, che soffia sulle nostre coste dalle vaste dune del Sahara. Quel vento che, suo malgrado, negli ultimi mesi si è fatto foriero di tristi eventi: le forti raffiche hanno alimentato le fiammelle accese da mani criminali facendole diventare vasti roghi che, in poco tempo, hanno distrutto il nostro patrimonio boschivo. Ferito indelebilmente il Creato; spezzato vite umane e animali, mandato in fumo tante abitazioni, frutto di anni di sacrifici. La notte è stata scossa da bagliori che si sono levati alti in cielo mentre l'aria diveniva acre, quasi irrespirabile. Una pesante coltre di fumo avvolgeva i nostri occhi; stritolava le nostre coscienze. E così, ripensando a quelle tremende ore, mi tornava alla mente l’esperienza del profeta Elia nella caverna del monte Oreb:
“Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna” (1Re 19, 11b-13).
Il Signore della Vita - pensavo - vedeva la bellezza del Creato, distrutta dalla più bella delle Sue creature. Proprio dall’uomo che, come leggiamo nel libro della Genesi, Dio aveva posto a custodia e guardia del Creato (Gen 2,15).
Mi sono allora ricordato di un libricino che lessi qualche anno fa: “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono. È un racconto breve, allegorico, che in poche pagine racconta di speranza e di rinascita. Va letto lentamente, quasi assaporandone ogni parola. Cristallizzando le immagini. È la storia di un "atleta di Dio", Elzéar Bouffier, che dedica la sua vita a piantare alberi in una terra montana, arida e deserta, sferzata dai venti:
Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quel che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla. Fu a quel momento che mi interessai dell’età di quell’uomo. Aveva evidentemente più di cinquant’anni. Cinquantacinque, mi disse lui. Si chiamava Elzéard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita.
Facciamo anche noi l'esperienza di Elzéar nella terra di Vergons: dopo gli incendi cosa resta della bellezza? Una coltre di carbone e cenere e scheletri neri di alberi. Ma chiediamoci: chi mai può volere il male di questa nostra terra? Chi vuole far morire le Madonie? È una domanda che dobbiamo fare nostra, non solo per quanto riguarda gli incendi, ma per tanti altri aspetti. Ricordiamo l’annosa questione della viabilità, che ha un impatto importante sulle nostre vite e, il fenomeno dello spopolamento che, al pari di una tragica e inarrestabile emorragia, rischia di cancellare una cultura unica nel suo genere. Piangono le madri nel vedere andar via i figli. Cercano una riposta i volti rugosi degli anziani che vedono andare in fumo una vita di sacrifici.
Vengono meno persino i presidi di vita: uno su tutti l’Ospedale Madonna dell’Alto a Petralia Sottana. Rischia di chiudere per carenza di medici, lasciando priva di assistenza sanitaria la popolazione delle Alte Madonie. Sono tutte logiche perverse che vogliono costringere una popolazione ad arrendersi e a fuggire. Tuttavia, la nostra fede in Gesù Cristo, Signore della Vita, non ci lascia indifferenti, ci sprona a trovare soluzioni concrete. Anche noi, come il vecchio Elzéard, siamo chiamati a farci atleti di Dio. Dobbiamo sfidare la rassegnazione. Vincere la paura. Iniziamo anche noi a piantare nuovi semi di speranza. Nella terra ferita un germoglio potrà nascere ancora più forte di prima.
Prosegue il racconto:
Mi ricordavo l’aspetto di quelle terre nel 1913, il deserto…
Il lavoro calmo e regolare, l’aria viva d’altura, la frugalità e soprattutto la serenità dell’anima avevano conferito a quel vecchio una salute quasi solenne. Era un atleta di Dio. Mi domandavo quanti altri ettari avrebbe coperto di alberi. [...] Ora tutto era cambiato. L’aria stessa. In generale Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata. Era ormai un posto dove si aveva voglia di abitare. Sono bastati gli otto anni che ci separano da quell’epoca perché tutta la zona risplenda di salute e felicità. una vita lieta e comoda. Le vecchie fonti, alimentate dalle piogge e le nevi che la foresta ritiene, hanno ripreso a scorrere. Una popolazione venuta dalle pianure, dove la terra costa cara, si è stabilita qui, portando gioventù, movimento, spirito d’avventura. Se si conta la vecchia popolazione, irriconoscibile da quando vive nell’armonia, e i nuovi venuti, più di diecimila persone devono la loro felicità a Elzéard Bouffier. Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c’è voluto in costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie d’un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio.
Carissimi, la rinascita è davvero possibile. Camminiamo e “piantiamo” insieme! Spinti dal sussurro del vento leggero della speranza in cui si rende presente Dio. È necessario che tutti noi facciamo sentire la nostra voce. Bisogna rimboccarsi le maniche! Non è più tempo di lamentarsi. Dobbiamo passare dal lamento all’impegno. Con l'aiuto di Dio, possiamo fare grandi cose! Iniziamo anzitutto a restituire al Creato ciò che è andato distrutto. Ho pensato ad una prima iniziativa che vuole assumere un forte valore simbolico. La piantumazione di nuovi alberi nelle zone incendiate. La ricrescita degli alberi a Vergons ha significato anche il ripopolamento del territorio. Anche noi come Elzéard inizieremo a piantare alberi. Perché rigenerino la vita. E la loro piantagione ci ricordi che, anche attraverso l’inclusione socio-lavorativa dei cittadini di Paesi terzi, è possibile avviare un percorso che porti al ripopolamento delle Madonie.
Il prossimo 20 novembre alle ore 10:30 ci ritroveremo in Contrada Monte, nella via Padre Pio, territorio tra Cefalù e Gratteri, per piantare nuovi semi di vita.
Invito i Sindaci dei Comuni che sono stati gravemente sfigurati dagli incendi a portare una zolla di terra del proprio territorio, per mettere a dimora una quercia vicino l’edicola dedicata a San Pio da Pietrelcina distrutta dall’ultimo incendio.
Invito il Corpo delle Guardie Forestali, tutte le Forze dell’Ordine, la Protezione civile, e tutti coloro che a titolo volontario si sono adoperati per lo spegnimento degli incendi.
Invito i Presidi delle scuole di ogni ordine e grado insieme ad alcuni Rappresentanti degli studenti. Nell’occasione proporrò alle scuole di rinnovare la bella tradizione della festa dell’albero che si celebra ogni anno il 21 novembre. Alcune piante verranno consegnate alle scuole per celebrare tale evento.
Invito le “Consulte giovanili” dei diversi comuni a farsi promotori presso le istituzioni locali di un progetto per la custodia della “casa comune”.
Invito i Parroci e i Responsabili della pastorale giovanile a dare inizio ad un movimento di giovani della “Laudato si”, quali sentinelle del creato.
Questi alberi segnino davvero la rinascita del nostro territorio!
Cefalù, 1 novembre 2023
Festa di Tutti i Santi
✠ Giuseppe Marciante