Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Celebrazione eucaristica
Convegno Nazionale dell'Unione Apostolica del Clero
Chiesa San Giovanni dei Lebbrosi
Palermo, 27 novembre 2024
Mercoledì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario
(Ap 15, 1-4; Sal 97; Lc 21, 12-19)
Carissimi,
la liturgia ci conduce verso il compimento della storia della salvezza.
Il brano del Vangelo di Luca che è stato proclamato ci riporta al discorso di Gesù sull’attesa degli ultimi tempi da vivere come tempo di prova ma, allo stesso tempo, come occasione per dare testimonianza nella perseveranza che è sinonimo di fedeltà.
Questa fedeltà, questo nostro “eccomi”, ha fondamento nella fedeltà di Dio come ci ricorda tutta la Bibbia e, in modo incisivo, il salmo 145: «Dio è fedele per sempre» (Sal 145, 6).
Gesù ci mette davanti agli occhi il grande valore della fedeltà in un’epoca come la nostra in cui un impegno “per sempre” risulta fuori moda e fuori tempo, in cui si prediligono relazioni “cool” cioè fredde, non stabili, che durano fin tanto che c’è l’interesse di uno dei due o il sentimento.
In una società dove si ha paura di assumersi responsabilità di qualsiasi genere, siamo chiamati ad una rinnovata fedeltà per vivere con entusiasmo la nostra missione.
Siamo chiamati ad esser perseveranti nella fedeltà perché sorretti dalla fede nella vittoria del Risorto.
Il ministero ordinato, specialmente nel grado del presbiterato, già da un bel numero di anni sta attraversando una prova durissima, ed è quella di non vedere la prospettiva di una discendenza: ci sentiamo come quei genitori che non hanno figli.
Le nostre Chiese della vecchia Europa sono come madri sterili.
Ci siamo sentiti traditi non dai parenti, ma dagli stessi confratelli che si sono macchiati di tremendi crimini consegnandoci così a tribunali implacabili dei media che non sanno distinguere il buon grano dalla zizzania.
Una persecuzione a causa di Cristo ci avrebbe dato occasione di dare testimonianza, ma gli scandali ci mettono la vergogna sul volto.
È tempo di purificazione: ci avverte il veggente dell’Apocalisse attraverso il segno dei sette angeli che portano sette flagelli. Ma arriva la consolazione perché la bestia è stata vinta; è stata distrutta la sua immagine e il numero del suo nome, e i vincitori come l’Agnello che è stato immolato stanno ritti sul mare non più minaccioso, ma calmo, limpido e trasparente come cristallo che si mischia col fuoco.
Acqua e fuoco sono i segni dello Spirito che rinnova tutte le cose, che purifica la Chiesa per prepararla quale Sposa alle nozze dell’Agnello.
Col cuore gonfio d’amore e di speranza ci uniamo in questa santa liturgia ai vincitori e con loro, liberati dai nostri nemici, cantiamo il canto della vittoria di Mosè e dell’Agnello: «Grandi e mirabili sono le tue opere Signore Dio Onnipotente, Tu solo sei Santo, giuste e vere sono le tue vie o Re delle genti» (Ap 15, 3-4). Amen.