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Discorsi e Interventi del Vescovo (02.11.2024)

27/11/2024 12:00:00

Segreteria Vescovile

Discorsi e Interventi del Vescovo,

Discorsi e Interventi del Vescovo (02.11.2024)

Tavola rotonda “La coscienza diaconale nel ministero ordinato” - Convegno Nazionale dell’Unione Apostolica del Clero

Discorsi e Interventi del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante

 

Tavola rotonda

“La coscienza diaconale nel ministero ordinato”

Convegno Nazionale dell’Unione Apostolica del Clero

 

Hotel San Paolo Palace

Palermo, 27 novembre 2024

 

 

 

Come vive un vescovo nella sua chiesa la coscienza diaconale?

 

Ricordo ancora le parole del vescovo che mi ha imposto le mani per la consacrazione presbiterale, Mons. Domenico Picchinenna, subito dopo la celebrazione: “Ricordati che tu resti anche diacono”.

L’ho recepita come un’indicazione molto precisa: con l’accesso al sacerdozio non si smette di essere diaconi. Quell’espressione mi ha lasciato come un’impronta e mi è tornata in mente durante la consacrazione episcopale.

Premetto che non ho mai esercitato pienamente il ministero diaconale se non limitatamente al servizio liturgico, ma approfondendo il mistero dell’Ordine sacro, dico subito che Cristo è il primo e vero diacono per eccellenza.  A tal riguardo il triduo pasquale ha inizio con la Messa in Coena Domini in cui, al posto del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, si proclama il Vangelo di Giovanni della Lavanda dei piedi.

In quel racconto Gesù è certamente diacono (compie infatti il gesto dei servi), ma nello stesso tempo è sacerdote; sommo sacerdote perché offre la sua vita come sacrificio. Questo legame tra diaconato e sacerdozio ci spinge verso una rilettura della teologia del sacramento dell’Ordine.

Dove sono i confini tra la diaconia e il ministero sacerdotale? Anche nel ministero apostolico del vescovo non si cancella la diaconia, tant’è vero che a livello liturgico egli indossa di solito la tunicella del diacono.

Il segno diaconale non scompare anzi ogni esercizio ministeriale deve essere sempre diaconale. Se perde la dimensione diaconale, perde la vera dimensione ministeriale; diventa esercizio di potere. Gesù ha dato il potere del servizio e non l’esercizio del potere.

La presa di coscienza della diaconia permanente cambia completamente lo stile del ministero del presbitero e del vescovo.

 

Come si fa a suscitare nuova diaconia?

Ritorno ancora all’icona della lavanda dei piedi: quando Gesù arriva ai piedi di Pietro, questo si ribella, perché non vuole, non capisce il senso, si rifiuta di ricevere quel servizio: “Non mi laverai i piedi in eterno” e Gesù risponde: “Se non ti lavo i piedi non avrai parte con me”.

Vivere la dimensione diaconale significa anche lasciarsi collaborare. E è non così facile lasciarsi collaborare o vivere il proprio ministero in sinergia con gli altri ministeri. Lasciarsi collaborare equivale a dare fiducia.

Se un vescovo, un sacerdote, un diacono difetta in questo significa che è destinato a rimanere solo.

Possiamo rileggere l’espressione della Genesi (Gen 2, 18-24) “non è bene che l’uomo sia solo” con “non è bene che il vescovo sia solo”.

Il vescovo può scegliere la solitudine proprio per la mancanza di fiducia nei collaboratori.

Il vescovo non è onnipotente per cui è necessaria questa diaconia diffusa e, dico di più, è vitale generare nuova diaconia. Dicendo questo ho presente l’immagine del diacono Filippo che, ricevuto il mandato dagli Apostoli, subito lo troviamo sulla strada impegnato nella cura delle relazioni.

Anche gli Apostoli facevano strada perché dovevano raggiungere tutti secondo il mandato di Gesù. Da soli non si possono raggiungere tutti. Nemmeno Gesù l’ha fatto. Non ha raggiunto tutti anche se percorreva citta e villaggi.  Ad un certo punto mandò i dodici e poi i settanta.

La missione è un atto ecclesiale, collegiale, sinodale. Importante è garantir la presenza di Cristo.  Come fa un vescovo da solo ad accompagnare i percorsi vocazionali senza un’equipe di animatori vocazionali? Come fa un Vescovo raggiungere i giovani senza sacerdoti generosi, diaconi, animatori che animano la vita oratoriale e delle altre esperienze giovanili. Come si fa ad arrivare a tutte le famiglie della diocesi, gli ammalati, senza gli altri ministeri?

 

Nel discernimento, quand’è che a una persona si dice tu non puoi essere ordinato diacono?

 

Quando il candidato si autopropone per me il discernimento è già fatto perché in campo vocazionale non ci sono autocandidature. La chiamata è chiamata. L’iniziativa è di Dio.

Certo la vocazione si può esprimere attraverso l’attrazione verso un ministero come il sacerdozio, ma col tempo va fatto un discernimento sull’origine di questo movimento interiore. Il sacerdozio o il diaconato è un dono che ti consegna la Chiesa, non è una pretesa.

Si presentano a volte situazioni incresciose in cui si pretende di essere ordinati in modo quasi automatico perché ha passato in seminario un certo numero di anni. A un certo punto del percorso possono accadere eventi che mettono in discussione l’autenticità di una vocazione.

Bisogna vigilare nel distinguere la conversione dalla vocazione alla vita consacrata o al sacerdozio. Passare subito dalla conversione alla vocazione si rivela un salto mortale.

Confondere l’entusiasmo del neofita con la vocazione è facile, però è rischioso.

Le statistiche sulle domande di dispensa dagli obblighi del ministero da parte di giovani sacerdoti rivelano che spesso si confonde la conversione con la chiamata al sacerdozio.

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