Il Beato Pino Puglisi
nel ricordo di Don Franco Mogavero
La visita di Papa Francesco nel venticinquesimo anniversario del martirio di don Pino Puglisi apre la strada alla Speranza alla nostra isola, alle Chiese di Sicilia. Tutto il suo ministero è stato una continua testimonianza di abbandono e fiducia in Dio e nell’uomo. Il Cardinale Salvatore Pappalardo, sempre lungimirante, lo aveva scelto come padre spirituale del Seminario di Palermo.
Ed io l’ho conosciuto ed apprezzato in questo suo servizio tanto delicato e di estrema importanza nella formazione di un futuro pastore. Era un presbitero mite e discreto. Tutta la sua azione pastorale ruotava attorno alla Parola, all’Eucarestia e al Concilio. Era innamoratissimo del suo ministero. In uno degli incontri tenuto a noi seminaristi ebbe a dirci: "Non avrei pudore a uscire per le vie di Palermo con un cartello sulle spalle leggibile da tutti con la scritta: Essere Preti è Bello!" Non ci ha mai parlato dei suoi problemi con la mafia, delle sue difficoltà e gioie pastorali a Brancaccio.
Delle sue lotte. Delle tante iniziative ed attività portate avanti come parroco nella sua comunità. Faccio tanta fatica a vederlo investito del titolo a lui da tanti affiancato del "prete antimafia". E’ stato l’uomo e il prete della Speranza.
Ci ha presentato sempre il Vangelo. Solo e sempre la Parola del Signore. Portava con se la Bibbia. Studiava e pregava la Parola di Dio. Leggeva. Studiava testi di esegesi. Si parla poco di padre Puglisi e del suo spessore culturale. Della sua sapienza che non ha nulla a che fare con le erudizioni da esibire. Della sua acuta intelligenza che ha guidato la sua fede, le sue scelte ed anche il suo martirio. Un giorno in seminario bussa alla mia porta. Mi accorsi subito di un certo suo imbarazzo. Era rosso in viso. Quel rossore tipico dei "bambini" quando devono chiedere qualcosa. Poi sottovoce mi dice:>. E continua:>.
E poi con un’umiltà schiacciante confessa:>. Qualche giorno dopo era la festa di San Giuseppe. Occorreva fare un regalo a don Pino per il suo onomastico. Suggerisco con discrezione la Bibbia di Gerusalemme. Il giorno della festa pranza con noi in Seminario.
Poi gli viene consegnato il regalo. Quando lo apre, vedendo la Bibbia, con lo sguardo cerca il mio volto. I nostri occhi si incrociano. Si parlano nel silenzio.
Don Pino da lontano mi sorride. Era il suo grazie. Forse il grazie più bello, più "pulito" ricevuto nella mia vita. Andava sempre di corsa. Non era mai puntuale. Aveva una capacità di ascolto straordinaria. Nei vari colloqui ti ascoltava con attenzione massima. Ti fissava con lo sguardo. Ti leggeva con gli occhi. Ti sorrideva amorevolmente. E poi ti donava i suoi consigli. Semplici. Concreti. Misurati. Mai appesantiti da giudizi. Rivestiti soltanto di quella luminosa libertà interiore che possiede solo chi abbraccia e vive il Vangelo. A tal proposito, diceva: «Compito del prete è quello di ascoltare». E proseguiva: «Se dovessi realizzare una vignetta sul presbitero disegnerei soltanto un orecchio grandissimo». Durante l’ultimo colloquio avuto con lui mi parlò con vera umiltà del suo non riuscire ad assolvere per come sperava e desiderava il compito di padre spirituale.
E nel clima di una conversazione paterna indica come possibile figura che potesse sostituirlo il parroco della Cattedrale di Palermo: don Salvatore Napoleone. Solo dopo pochi mesi don Puglisi veniva ucciso. Ma alla coscienza e al cuore della mia persona aveva già mostrato chi doveva proseguire la formazione da lui iniziata con i seminaristi. Ad Ottobre si riapre il Seminario con la settimana di esercizi spirituali. Si respira un’aria triste. Grande è il dolore per l’assenza di padre Puglisi. Si è "costretti" a pensare ad un successore. In forma riservata espongo a Mons. Giovanni Muratore, allora Rettore del Seminario, il desiderio di don Pino.
Il Rettore sgrana gli occhi e si commuove. L’indomani si reca dal Cardinale che chiama subito padre Napoleone. Il parroco della cattedrale del capoluogo siciliano, dopo un giusto tempo di riflessione accetta di essere l’erede di padre Puglisi nella guida dei futuri presbiteri.
E’ una piccola testimonianza che ci consegna la vera identità di padre Puglisi: presbitero umile, non appiccicato ai ruoli, ai titoli, alle persone che amava. Era un uomo che guardava al domani, proiettandolo sempre all’eternità. Non a caso il suo canto preferito era "Sto alla porta e busso", che cantava col sorriso di un bambino, quel sorriso che era il suo saluto. Il sorriso "dell’innocente" che ha donato anche al suo assassino. Il sorriso benedicente della Speranza.
Della quale tutta la Chiesa ha bisogno. Quel 15 settembre del 1993 era il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. La mafia aveva deciso di ammazzarlo proprio quel giorno. Avevo provato a chiamarlo per gli auguri. Non l’ho trovato. Oggi dopo 25 anni l’ho raggiunto ugualmente con questo scritto. Senza un telefono. Ma il Suo nome è nell’elenco beati. Dei costruttori della Speranza.
Don Franco Mogavero
Responsabile Servizio Pastorale Comunicazioni Sociali