Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Maria Santissima di Gibilmanna
Santuario di Maria Santissima di Gibilmanna
Gibilmanna, 02 settembre 2018
Carissimi fratelli e sorelle,
è per me una grande gioia, celebrare con voi la festa di Maria Santissima di Gibilmanna.
Importanza del miracolo.
Quello di Cana è il primo segno in cui Gesù manifesta in anticipo la sua gloria che sarà pienamente svelata sulla croce e che segna un passo importante della fede dei discepoli.
Il brano giustamente può essere definito l’epifania secondo Giovanni, manifestazione della Gloria di Cristo, dello spessore dell’identità divina di Gesù. Nelle altre epifanie è il Padre che rivela la Gloria del Figlio ad esempio al fiume Giordano (Battesimo) e sul monte Tabor (Trasfigurazione) «Questo è il mio figlio diletto, ascoltatelo». A Cana è grazie all’intervento della Madre che si rivela la gloria del Figlio: anche Maria può dire "è mio Figlio" e quindi «Fate quello che vi dirà». Entriamo quindi nella comprensione del segno:
Tre giorni dopo.
Le coordinate temporali insinuano che siamo di fronte al mistero pasquale. Giovanni dice che le nozze a Cana di Galilea ci furono nel terzo giorno e il terzo giorno segna l’evento della risurrezione.
La stessa risposta di Cristo alla Madre che lo informa della mancanza di vino, quando le dice «Donna, non è ancora giunta la mia ora», rende evidente che le nozze di Cana di Galilea vanno assolutamente lette in chiave pasquale. L’ora di Cristo nel Vangelo di Giovanni è l’ora della gloria di Dio, l’ora della croce. Vi è una confluenza, dunque, della gloria di Dio, della morte di Cristo e della generazione dell’uomo vivente, l’uomo nuovo, e tutto in chiave sponsale, perché si tratta di nozze. Cristo è difatti il nuovo sposo che si unisce all’umanità sul talamo della croce. Dal suo costato infatti nasce la Chiesa sua Sposa, affidata alla Donna per eccellenza, la nuova Eva, sua Madre, la madre dei viventi.
Le nozze dell’alleanza e le sei giare di pietra.
Secondo la tradizione biblica le nozze sono il simbolo dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Il rapporto è una questione di amore, a cui però l’uomo dopo il peccato non è più abilitato. Nel Cantico dei cantici viene detto esplicitamente: «I tuoi amori sono migliori del vino» (Ct 1,2). Sulla scia di questa Parola, possiamo correttamente comprendere l’espressione di Maria "non hanno vino" come "non hanno l’amore".
«L’uomo non può vivere senza amore. Esso rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» [1].
Nelle giare di pietra la maggioranza dei padri vedeva simboleggiata la legge di Mosè.
La legge si capisce solo sullo sfondo della fede e dell’amore. Per dare la vita ci vuole l’amore.
La storia moderna ci insegna quale grave conseguenza provochi una fede staccata dall’amore. Una religione o una fede che non attinge all’amore di Dio, prima o poi svelerà la sua verità lasciando un cuore secco, prosciugato, senza sapore e senza vita. Si degrada in fanatismo violento.
La coordinata pasquale mostra che il vero vino è quello che noi attingiamo nell’eucaristia, cioè il sangue di Cristo nel suo sacrificio pasquale.
Gesù Cristo instaura una nuova religione perché rivela in pienezza la radicale novità di Dio espressa in tutta la storia della salvezza: Dio è amore. «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (Gv 4,10).
San Paolo, nella lettera agli Efesini, parla del matrimonio e dice che l’unione tra l’uomo e la donna trova il suo riferimento nell’unione tra Cristo e la Chiesa. Dunque questo è l’amore, l’unione perfetta incrollabile nella quale si innesta, si fonda e si nutre ogni amore sulla terra. Anche le nozze umane, il rapporto tra l’uomo e la donna, hanno il loro fondamento in Dio: solo Dio riesce a unire le persone.
Ci si scopre uniti in Dio e perciò si celebra il sacramento che esprime e realizza l’unità delle persone. Poi ci si impegna nella società a vivere e a realizzare questa comunione in tutti gli aspetti della vita concreta.
L’unione corporale esprime e festeggia la verità di questa unione. Se questa gerarchia dei passaggi non viene rispettata, si arriva sempre all’amara constatazione del fallimento dell’amore, e si pensa in modo illusorio ed erroneo che l’unione sessuale rappresenti il fondamento dell’unione - mentre ne è l’espressione - e che l’impegno etico, morale e sociale porti all’unione delle persone - mentre è il suo frutto.
La relazione tra Madre e Figlio.
Che senso hanno le parole di Gesù rivolte alla Madre? Sembrano parole dure, irrispettose da parte di un figlio verso sua Madre. Letteralmente si dovrebbero tradurre: Cosa a me e a te o Donna? La Cei traduce: Donna che vuoi da me? La stessa espressione la troviamo nel Vangelo di Marco (Mc 5,7) e stanno sulla bocca dell’indemoniato di Gerasa. Secondo alcuni esegeti è da intendersi "Che cosa c’è tra me e te?". Questo è sicuramente il senso delle parole rivolte al Cristo dall’indemoniato di Gerasa (Mc 5,7); sono le stesse, identiche parole.
Questa costruzione grammaticale poteva avere sia valenza negativa che positiva, il senso vero era dato dalla relazione, dal contesto, dal tono della voce, dallo sguardo ed altri segni.
È chiaro che tra il maligno e Gesù non vi è alcuna relazione. Il demonio sa che Gesù è venuto per annientarlo. Se la domanda di Gesù è quella del Figlio verso sua Madre può essere intesa nel seguente modo: che cos’è che ci unisce?
Quanto grande è questo mistero? Quanto forte è questa catena d’Amore che unisce me (Dio) a te (Donna)? Maria non rivolge una vera richiesta a Gesù. Gli dice soltanto: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Maria segnala un disagio: non dice a Gesù che cosa Egli deve fare. Semplicemente affida la cosa a Gesù e lascia a Lui la decisione su come reagire.
Vediamo così nella semplice parola della Madre di Gesù due cose: da una parte, la sua sollecitudine affettuosa per gli uomini, l’attenzione materna con cui avverte l’altrui situazione difficile; vediamo la sua bontà cordiale e la sua disponibilità ad aiutare. Ma a questo primo aspetto molto familiare a tutti noi se ne unisce ancora un altro: Maria rimette tutto al giudizio del Figlio: «Fate quello che egli vi dirà».
In questa breve frase si racchiude tutto il programma di vita che Maria realizzò come prima discepola del Signore, e che oggi nostra Madre e Maestra insegna anche a noi. È un progetto di vita basata sul solido e sicuro fondamento della Parola di Dio.
A Nazareth ha consegnato la sua volontà immergendola in quella di Dio: «"Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto"» (Lc 1,38). Questo è il suo permanente atteggiamento di fondo.
E così ci insegna a metterci in ascolto orante della Parola del Signore ed essere facitori della sua Parola; a non voler affermare la nostra volontà e i nostri desideri di fronte a Dio, ma lasciare a Lui di decidere ciò che intende fare.
Gesù stesso ha legato la parentela non alla carne e al sangue, ma all’ascolto della Parola di Dio: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21).
Da Maria impariamo la bontà pronta ad aiutare, ma anche l’umiltà e la generosità di accettare la volontà di Dio, dandogli fiducia nella convinzione che la sua risposta sarà il nostro vero bene.
[1] Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 10.