Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Trigesimo del Vescovo Rosario Mazzola e memoria di tutti i Vescovi defunti di Cefalù
Basilica Cattedrale
Cefalù, 24 gennaio 2019
In questa celebrazione che cade nel trigesimo della morte di Mons. Rosario Mazzola, noi facciamo memoria della nostra salvezza in Cristo Gesù, il Padre ci comunica l’ardore dello Spirito Santo che infiammò il cuore mitissimo di San Francesco di Sales e realizza la comunione con tutti i vescovi che hanno servito questa sposa bella del Figlio. In tale ricorrenza il Papa pubblica il messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali.
Un filo rosso lega San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, e Mons. Mazzola che intuì presto la sfida e la risorsa pastorale dei nuovi mezzi di comunicazione sociale. Se n’è occupato anche nella Lettera pastorale Lasciare Babele (1996) nella quale, trattando dell’educazione ai media, proponeva alle parrocchie di dare vita a una vera e propria pastorale dell’educazione alla comunicazione della fede. Per lui era importante che "tutti sapessero usare i nuovi strumenti della comunicazione con intelligenza".
Era una visione profetica. Già 22 anni fa aveva prefigurato lo scenario attuale dominato dalla Rete e attraversato dal rischio di far passare messaggi fortemente diseducativi.
Anche per questa attenzione alle trasformazioni del sistema della comunicazione Mons. Mazzola fu chiamato a collaborare nella Commissione episcopale della Cei per le Comunicazioni Sociali. Fu il primo piano pastorale a livello nazionale che attirò l’attenzione della chiesa italiana verso il vescovo Mazzola e per questo fu chiamato a far parte della Commissione ecclesiale della Cei per le comunicazioni sociali. Furono gli anni che videro nascere a Roma l’Ufficio Nazionale delle Comunicazioni Sociali.
Il Piano fu centrato sulla cultura della comunicazione: ogni parrocchia fu invitata ad individuare un animatore della comunicazione. Fu redatto un foglio diocesano di collegamento fra le comunità parrocchiali. Alle comunità parrocchiali fu chiesto di mettere in atto un vero e proprio corso di formazione all’uso dei mass media.
Mons. Mazzola fece stampare un sussidio formativo che venne diffuso in tutte le parrocchie e organizzò per i presbiteri dei corsi di formazione dedicati all’informazione. In collaborazione con l’Università di Palermo istituì l’osservatorio della comunicazione. «Siamo membra gli uni degli altri" (Ef 4, 25). Dalle community alle comunità»: questo il tema che Papa Francesco ha scelto per la 53ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno.
Leggo alcuni brani significativi del Messaggio pubblicato in data odierna:
È a tutti evidente come, nello scenario attuale, la social network community non sia automaticamente sinonimo di comunità. Nei casi migliori le community riescono a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, nel social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo. La rete è un’occasione per promuovere l’incontro con gli altri, ma può anche potenziare il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare. Sono i ragazzi ad essere più esposti all’illusione che il social web possa appagarli totalmente sul piano relazionale, fino al fenomeno pericoloso dei giovani "eremiti sociali" che rischiano di estraniarsi completamente dalla società. Questa dinamica drammatica manifesta un grave strappo nel tessuto relazionale della società, una lacerazione che non possiamo ignorare.
In un’intervista alla Radio Vaticana, Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede ha dichiarato che: «Il rischio del nostro tempo è quello di costruire tribù invece di comunità. Tribù fondate sulla esclusione dell’altro. Occorre reagire a questa deriva narcisistica che, concentrando il nostro sguardo e il nostro amore solo su noi stessi, divide il mondo in due: noi e gli altri. È questo che ci impedisce di vedere nell’altro un fratello, un figlio di Dio, e Dio. Occorre spezzare questo "incantesimo" e ritornare a sentirci una cosa sola. Come dice San Paolo: "Membra gli uni degli altri"».
A conclusione del Messaggio il Santo Padre riprende l’immagine del corpo e delle membra:
L’immagine del corpo e delle membra ci ricorda che l’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa, che vive attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo, il respiro dell’altro. Se la rete è usata come prolungamento o come attesa di tale incontro, allora non tradisce se stessa e rimane una risorsa per la comunione. Se una famiglia usa la rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Se la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa.
«Dieu est le Dieu du coeur humain» [Dio è il Dio del cuore umano] scriveva San Francesco di Sales nel Trattato dell’Amore di Dio (I, XV). Cor ad cor loquitur è l’unico modo vero di conversare e incontrarci e il Santo vescovo di Annecy l’ha vissuto fino in fondo.
L’8 dicembre 1602 San Francesco di Sales divenne vescovo di Ginevra, in un periodo in cui la città era roccaforte del Calvinismo, tanto che la sede vescovile si trovava "in esilio" ad Annecy. Accolse la consacrazione con queste parole: «Quel giorno Dio mi aveva tolto da me stesso per prendermi per sé e quindi darmi al popolo intendendo dire che mi aveva trasformato da ciò che ero per me in ciò che dovevo essere per loro».
Pastore di una Diocesi povera e tormentata, in un paesaggio di montagna di cui conosceva bene tanto la durezza quanto la bellezza, egli scrive: «[Dio] l’ho incontrato pieno di dolcezza e soavità fra le nostre più alte e aspre montagne, ove molte anime semplici lo amavano e adoravano in tutta verità e sincerità; e caprioli e camosci correvano qua e là tra i ghiacci spaventosi per annunciare le sue lodi». Stette in quella diocesi per ben 20 anni.
Quando il cardinale Henri de Gondi gli propose la candidatura a suo successore a Parigi rispose in modo simpatico: «Io ho sposato una povera donna (la Diocesi di Annecy); non posso divorziare per sposarne una ricca» [1].
Se era difficile parlare in modo diretto, perché gli eretici lo scansavano e lo osteggiavano, egli sapeva però che nel cuore di ciascuno, anche dei nemici, restava sempre un angolo di speranza. Ed eccolo, allora, scrivere foglietti, spedire lettere aperte e belle, (le famose Controversie), onde utilizzare spazi di dialogo inatteso. Il suo metodo era appunto questo: si mediti prima per sé quello che si vuole dire agli altri! Proprio per questo, è il patrono dei giornalisti. Perché ha messo al centro la verità, detta però non con lo stile dell’arroganza, ma dell’umiltà e della semplicità. Che rende poi reali e amabili le cose che dici! Con le sue famose tre regole d’oro: capacità di sintesi; acutezza ed espressività. Cioè, far vibrare le cose che dici. Perché quello che tu dici entrerà veramente nel cuore dell’altro, solo se esce prima dal tuo cuore! Che l’amore sia la ragion d’essere di tutte le cose, San Francesco di Sales lo ha riassunto nel Trattato dell’amor di Dio e in una celebre frase: «L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è quella dello spirito, e la carità quella dell’amore» [2].
Narrava che nella natura le vespe, al contrario delle api, succhiano il nettare dai fiori ma non lo trasformano in miele ma in veleno. Una metafora che ci fa da monito, soprattutto a quanti esercitano la professione di comunicatori e giornalisti, ma anche di chi governa la rete pubblica. Dobbiamo riuscire a fare nostro il lavorio delle api, anziché quello delle vespe, creando, con l’informazione data, parole che formino rete, costruiscano ponti e non muri. Opportunità di bene, di speranza e di riconciliazione e non ostilità e contrapposizioni. «La comunione - dice ancora Ruffini - è il migliore guardiano della verità».
[1] Francesco di Sales, Lettera alla Madre di Chantal, ottobre 1606, in Oeuvres, éd. Mackey, t. XIII, p. 223.
[2] Francesco di Sales, A Teotimo, Libro X, cap. I.