Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Maria Santissima di Gibilmanna
Santuario Maria Santissima di Gibilmanna
Gibilmanna, 03 settembre 2023
Carissimi fratelli e sorelle,
Hodie vinum ex aqua factum est ad nuptias.
Cosi canta l’antifona al Magnificat “Tribus miraculis” della festa dell’Epifania:
Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo:
oggi la stella ha guidato i magi al presepio,
oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze,
oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano
per la nostra salvezza, alleluia.
Cerchiamo dunque di comprendere questa “epifania”; questo segno consegnato alla Chiesa, e cioè che l’acqua è cambiata in vino alle nozze di Cana.
Un banchetto è l’icona più profonda della nostra relazione con Dio.
I segni secondo l’Evangelista Giovanni sono manifestazioni, epifanie, della gloria di Dio, manifestazioni della sua azione salvifica. Quello di Cana è il primo dei segni compiuti da Gesù. Nei segni si fa esperienza della Pasqua nella concretezza della vita quotidiana, cioè come la morte e la risurrezione di Gesù ci raggiunge, ci impregna e ci trasforma.
Il primo di questi segni è un festino di nozze.
Il nostro rapporto con Dio è come una festa di nozze, come un’alleanza nuziale.
L’evento accade tre giorni dopo ossia lo spazio di tempo tra la morte e la risurrezione di Cristo. Il segno del banchetto di nozze e di ciò che succede durante il banchetto ci parla della morte e risurrezione di Gesù. Con la sua morte e risurrezione, Cristo ha siglato con noi un’alleanza nuziale, un patto d’amore con l’Umanità, con la Chiesa; con ciascuno di noi.
Tutta la nostra vita allora si può paragonare alla preparazione di una festa di nozze, proprio come quelle dei nostri sposi e delle loro famiglie. Quanti preparativi, quante spese, quanti sacrifici!
Capita però che qualcosa vada storto mettendo così a nudo la nostra fragilità, la nostra fallibilità, i nostri limiti e i nostri peccati. In questo banchetto manca l’essenziale perché si possano celebrare le nozze, ossia il vino. Come se in un matrimonio mancasse l’amore di uno dei nubendi o di tutti e due. Un matrimonio nullo.
Il miracolo-segno ci manifesta come Dio entra nei nostri fallimenti. Gesù a questo punto emerge tra gli invitati, esce dal nascondimento, dall’anonimato: diventa il protagonista dell’evento. Così spesso nella nostra vita consideriamo Gesù uno dei tanti, di cui non abbiamo bisogno, ma quando arriva il momento della crisi, del fallimento, della prova entra il Signore. Ma come entra? Così come ha fatto ingresso nel mondo, nella nostra umanità, nella nostra carne e sangue, attraverso la Madre, la Donna nuova. Così come arriva la vita: sempre, attraverso la donna.
La richiesta della Madre di entrare in azione, di anticipare l’ora, lo mette a disagio perché Gesù sa che fare questo segno è anticipare l’ora della morte e della risurrezione, quando darà la sua vita perché il nostro fallimento diventi la possibilità di una nuova vita. Alla Madre non può negare nulla. E la madre, sicura della risposta del Figlio, dice ai servitori: “qualsiasi cosa vi dica fatela”. È la nostra partecipazione a quanto il Figlio sta per compiere. È il nostro “fiat”.
Veramente si può dire che nel campo dell’obbedienza governa la Madre.
Come ci fa superare il disagio del fallimento, dopo un grave errore, un grave peccato; dopo un tradimento che è come un’esperienza di morte?
Come si risorge quando tutto sembra segnato dal disfacimento, dalla fine?
Consegnando a Lui l’acqua sporca della tua vita, della nostra vita; l’acqua morta delle nostre cisterne avvelenate.
È l’acqua svuotata di vita, rappresentata da quelle sei giare di pietra, vuote, che servivano per la purificazione dei Giudei: acqua che lavava l’esterno ma non aveva il potere di risanare dal peccato, non aveva il potere di dissetare la vita.
Questa manifestazione ci rimanda al battesimo di Gesù al Giordano, dove si immerge nell’acqua sporcata dalle nostre colpe e al costato aperto da una lancia dopo il sacrificio sulla croce da dove scaturirono acqua e sangue ossia i due sacramenti della vita: il Battesimo e l’Eucaristia.
Noi gli consegniamo la morte e Lui ci restituisce la vita simbolizzata dal vino eccellente dei tempi messianici. Quel vino buono è il Suo sangue, quella della nuova alleanza, versato per noi e per tutti in remissione dei peccati.
È il vino che rallegra il cuore dell’uomo e ci fa festeggiare la vita piena. Così noi tutti siamo invitati al banchetto della vita, il banchetto delle nozze del Figlio del Re.
In queste nozze alla destra “siede la Regina in ori di Ofir” come canta l’epitalamio regale del salmo 45.
Il Concilio Vaticano II ha riletto in chiave mariana il Salmo 45 e contempla in Maria “la figlia prediletta del Padre” e “il tempio dello Spirito Santo” [1]: «Dal Signore Maria è esaltata quale Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata col Figlio suo, Signore dei dominanti (cfr. Ap 19,16) e vincitore dei peccati e della morte» [1].
Il Signore l’ha chiamata a sé, invaghito della sua bellezza, e traendola fuori dal suo popolo e dalla discendenza carnale di Abramo, l’ha introdotta nell’intimità della vita trinitaria.
Perciò Maria è la Regina, tutta bella, senza alcuna macchia di peccato originale.
Davvero esulta nel Signore e la Sua anima si allieta in Dio, perché l’ha rivestita delle vesti della salvezza, ricoperta di un manto regale di santità, ricca e adorna di gioielli (cfr. Is 61, 10.14-15).
La Regina viene ed entra nel suo santuario e tutti noi, con amore e devozione, la veneriamo e ne contempliamo la bellezza. Infatti, pensando, guardando e mirando lei, la Chiesa «si va ognor più conformando col suo sposo» [2]. Davvero, quindi, Maria è l’immagine, il modello e il prototipo della Chiesa, madre e sposa, che entra con giubilo nella stanza del re e gustare la sua intimità (cfr. Ct 1, 4).
Ecco allora che, assieme a Cristo, unico salvatore e mediatore, Maria precede tutti i credenti nel cammino della salvezza. Il mistero nuziale tra il Figlio di Dio e l’Umanità, compiutosi in Maria, è partecipato alla Chiesa, che vede sé stessa come la regina condotta alle nozze dell’Agnello.
Quest’anno abbiamo assistito a un vero miracolo; possiamo dire “il miracolo del fuoco”. Ho ascoltato commosso il racconto dei Frati Minori Cappuccini sulla notte d’inferno del 25 luglio ultimo scorso.
Le fiamme sembravano divorare la vita tutt’intorno al santuario.
Mani criminali di piromani seriali, profittando del caldo e del forte vento, hanno ridotto in un deserto spettrale ettari di splendido bosco madonita.
Le fiamme stavano per inghiottire la chiesa e il convento.
I Frati erano combattuti tra la decisione di lasciare il convento o affidarsi alla protezione di Maria. Hanno scelto la seconda soluzione: hanno cominciato a pregare intensamente per chiedere l’intercessione della Gran Signura e a suonare le campane per rafforzare il loro grido di aiuto.
A un certo punto, quando venivano giustamente e pressantemente invitati a lasciare il convento, irremovibili con grande fede non abbandonarono la Madonna.
La Madre ha protetto sotto il Suo manto tutti gli abitanti della zona salvando le loro vite, il santuario e il convento.
Un vento forte e misterioso riuscì a spegnere le fiamme minacciose.
Ringrazio tutti coloro che si sono adoperati in quella notte per proteggere gli abitanti di Gibilmanna: dal Sindaco di Cefalù a privati cittadini, dalle squadre del Corpo forestale alla Protezione Civile e ai Carabinieri.
Chiediamo a Maria di salvarci dagli incendi e, in particolar modo, dalle fiamme dell’inferno.
Consegno a Lei come segno di ringraziamento l’anello d’oro che mi è stato regalato dai miei familiari e che mi è stato consegnato per la mia consacrazione episcopale.
È un anello forgiato sullo stampo dell’anello del Concilio Vaticano II e che San Paolo VI regalò a tutti i Padri Conciliari.
Chiedo al Guardiano, Fra Antonio Raimondo, di porlo ai piedi della Vergine: Maria è la Regina, che entra trionfante nel Suo e nostro santuario.
La accogliamo gioiosi ed esultanti. Vieni, o Regina nel tuo santuario; Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, prendi possesso dei nostri cuori.
Tutti noi, esuli figli di Eva, ricorriamo a te, Madre nostra e a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime.
Volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi; salvaci dal fuoco dell’inferno o Regina, clemente e pia, tu che sei la Santa amabile Gran Signura di Gibilmanna. Amen.
[1] Lumen Gentium, 53.
[2] Ivi, 59.
[3] Ivi, 65.