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Omelie del Vescovo (14.04.2018)

14/04/2018 21:30:00

Segreteria Vescovile

#Omelie del Vescovo,

Omelie del Vescovo (14.04.2018)

Inizio del Ministero pastorale del 74° Vescovo di Cefalù

Omelia del Vescovo di Cefalù

S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante

 

Inizio del Ministero pastorale

del 74° Vescovo di Cefalù

 

Basilica Cattedrale

Cefalù, 14 aprile 2018

 

 

Saluto i miei venerati Confratelli nell’Episcopato: 

vi ringrazio per la vostra presenza che mi consola e mi conforta; il giogo pastorale diviene dolce e leggero se portato insieme a voi, nella comunione. Tra i Vescovi, un caloroso saluto a S.Em.R. il Signor Cardinale Agostino Vallini che ha accompagnato i miei primi anni di episcopato. Oltre al saluto, rivolgo un ringraziamento a S.E.R. Mons. Rosario Mazzola e S.E.R. Mons. Vincenzo Manzella che ha dedicato alla Diocesi Madonita gli anni fecondi della maturità episcopale.

Saluto le gentili Autorità civili e militari che mi testimoniano la forza del concorrere insieme per raggiungere il bene comune del nostro territorio.  

Saluto i miei familiari e gli amici provenienti dall'Arcidiocesi di Catania, i sacerdoti e i laici provenienti da Roma, dalla Parrocchia San Romano Martire, e specialmente dal Settore Est della Diocesi di Roma. 

E ora, in modo particolare, saluto voi carissimi presbiteri, diaconi e seminaristi, persone consacrate, fratelli e sorelle laici che mi accogliete nella Diocesi di Cefalù in questo giorno santissimo che ricorda il 750° anno di dedicazione di questa Basilica Cattedrale.    


1. Vengo tra voi con il libro aperto delle Sacre Scritture per invitarvi ad apprendere da esse «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8). Senza l’intelligenza delle Scritture siamo come ciechi e incapaci di riconoscerlo. Pasqua, per l’Evangelista Luca, è il giorno delle aperture: apertura del sepolcro (Lc 24,2), degli occhi (Lc 24,31), delle Scritture (Lc 24,32), e ora dell’intelletto (Lc 24,45) che non significa semplicemente della mente, ma è strettamente collegata all’ardere del cuore, così come abbiamo cantato nell’Alleluia: «Signore Gesù, facci comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli» (Lc 24,13-35).

Oggi non solo ascoltiamo, ma riviviamo la pagina evangelica che è stata proclamata.

Siamo già ai primi vespri della domenica, il primo giorno dopo il sabato, il giorno del Signore Risorto, ci troviamo nella camera alta di Gerusalemme, dentro il cenacolo, rappresentato da questa magnifica Cattedrale. Sono presenti gli Undici, rappresentati dai Vescovi concelebranti quali successori degli Apostoli. Con gli Undici, sono presenti quelli che sono con loro, tous sun autois. 

Chi sono questi anonimi legati agli Apostoli? Siamo tutti noi che a Pasqua abbiamo ricevuto l’annuncio della risurrezione: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34). Ci lega agli Undici la lunga Successione Apostolica dei Vescovi e la professione della stessa fede di Pietro e degli Apostoli. Ne siamo certi, se siamo sun autois, con loro, il Signore, il Risorto è vivo e sta in mezzo a noi; è lui il centro attorno a cui tutto prende vita e si rinnova.

In questa Basilica Cattedrale, munito del mandato di Pietro, mi presento oggi a voi come l’ultimo anello di una lunga catena di Vescovi che ha la sua origine nella scelta dei Dodici: «Ne scelse dodici e diede loro il nome di Apostoli» (Lc 6,13).


2. Sono qui per portarvi la bella notizia: Cristo è Risorto! Cristo è vivo! Dio lo ha risuscitato dai morti! Questa bella notizia la comunico così come è stata trasmessa da Pietro: «Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni [...] Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati» (At 3,19). 

Dice Sant’Agostino: «Fides Christianorum resurrectio Christi est» [1] e sempre Agostino aggiunge che tutti riconoscono che è morto. Ma non è questo che fa la differenza. Quello che è proprio dei Cristiani è riconoscere che è risorto, quindi vivo e presente. Anche noi, se restiamo uniti alla fede degli apostoli, possiamo - come loro - vivere la tremenda e sublime esperienza di toccare e contemplare il mistero pasquale attraverso i segni sacramentali. 

Quando celebriamo l’Eucaristia, non tocchiamo forse il suo corpo e il suo sangue? E quando ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue, non facciamo parte anche noi di quelli che hanno mangiato e bevuto con lui dopo la risurrezione? Noi crediamo che il Risorto è il Crocifisso, perché crediamo che ci ha amati fino alla fine, e quando si ama così, la morte non può trattenere in suo potere, ma la vita finalmente trionfa. Ecco perché mostrò le mani e i piedi, ossia i segni delle ferite, per non disgiungere mai il fatto dell’amore crocifisso dalla sua ultima conseguenza che è la risurrezione. Senza i segni della passione sarebbe stato un fantasma e non il Risorto. Dalle ferite sul corpo del Cristo risorto penetra la luce divina dell’amore; «dalle sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5). 

Chiunque crede che da queste ferite penetra la luce e la vita, rinasce a vita eterna, viene alla luce. Solo nell’amore si diventa luminosi. Chi perde la vita per amore, dona la vita. Ed è per questo che ora Cristo siede alla destra di Dio portando i segni della passione, che sono anche i segni di tutta l’umanità ferita, di tutti i poveri, i piccoli, i sofferenti, i peccatori, i più vulnerabili e che resteranno indelebili per l’eternità: «Con i segni della passione vive immortale», recita il prefazio di Pasqua.    


3. Vi porto la pace di Cristo, il primo dono del Risorto alla sua Chiesa. "Pace a voi". Il saluto di Cristo diventa il saluto del vescovo all’assemblea liturgica; ciò significa che egli rende presente sacramentalmente il Cristo. Quando il Signore ha inviato i suoi discepoli diede loro questo comando: «In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa» (Lc 10,5). 

La pace di Cristo è il primo frutto maturato sull’albero della croce, perché sulla croce siamo stati riconciliati col Padre. «Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia [...] Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,14-18). Dio sa quanto ci è necessario questo dono, specialmente oggi dove, invece di abbatterli, si costruiscono muri di separazione. Il Risorto vuole contagiarci la sua Pace. Non come quella che dà il mondo. È la pace che ha promesso ai suoi nell’ultima cena, prima di recarsi nell’Orto degli ulivi. La pace che Cristo ci offre - ci ricorda Papa Francesco - non è la tranquillità di chi vive pensando solo a se stesso, perché essa non è senza tribolazioni [2]. 

La pace di Cristo è la consolazione offerta nei momenti della desolazione.

È la pace che tesse relazioni, crea ponti, abbatte confini, accorcia le distanze, porta la gioia.    


4. Sono con voi per invocare il dono dello Spirito perché ci dia la forza di testimoniare e annunciare la conversione e il perdono dei peccati, sapendo di avere «un Paraclito, (un difensore) presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1Gv 2,1).

Vorrei farvi notare la comunanza di linguaggio tra il Risorto e il Primo degli Apostoli; da questa sintonia deduco che veramente il Risorto è apparso a Simone. Il discepolo diventa testimone: uno che ha visto, ricorda e racconta.

È uno profondamente coinvolto nelle vicende che racconta. Il testimone è uno che fa trasparire dentro la sua vita quel che narra. Pietro è il testimone di uno sguardo: lo sguardo misericordioso dell’uomo dei dolori che si posò su di lui dopo il rinnegamento nel cortile della casa del Sommo Sacerdote, e insieme lo sguardo del Cristo glorioso della Pasqua come questo volto che ci abbraccia tutti dalla volta dell’abside. Mi presento anch’io a voi come testimone e messaggero della Misericordia che il Padre mi ha concesso.   


5. Il mio nome, Giuseppe, è legato a dei grandi sognatori, anch’io ho un sogno.

Il sogno di una Chiesa sinodale, dove quel sun-odos sta per camminare insieme, lavorare insieme, cercare insieme, evangelizzare insieme, servire insieme: vescovo, sacerdoti, diaconi, laici e consacrati insieme. Ciascuno e tutti, soggetti protagonisti nella potenza dello Spirito, pur nella differenza dei carismi e ministeri. Si tratta di un’istanza che muta la maniera di fare le cose, perché si fanno insieme, in comunità, ascoltando tutti, si fanno accogliendo tutti, dando a tutti la possibilità di agire secondo le forze che hanno e i doni ricevuti.

Preghiamo perché oggi noi, Vescovo e Popolo, cominciamo insieme questo cammino:

 

E ora guardami, dolce Pantocratore, mostrami il tuo volto pieno di misericordia.

Guarda questo popolo prediletto che tiene davanti ai propri occhi le ferite delle tue mani e dei tuoi piedi.

Li hai affidati a me povero peccatore, insegnami a servirli. Io li affido a te perché nessuno li rapisca dalle tue braccia.

Esaudiscimi, Signore Dio mio, così che i tuoi occhi siano aperti su di loro, giorno e notte.

Distendi le tue ali e proteggili; stendi la tua santa destra e benedicili; infondi nei loro cuori il tuo Santo Spirito,

perché li conservi nell’unità, nel vincolo della pace, e nell’umiltà dello spirito. Amen.     

 


[1] Agostino, Enarrationes in psalmos 120, 6.

[2] Francesco, Omelia a Santa Marta, 16 maggio 2017. 

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