Intervista a Mons. Giuseppe Marciante, Vescovo eletto di Cefalù
di Don Franco Mogavero
Il volto di Mons. Giuseppe Marciante sprigiona gioia per il suo ritorno a "casa" dopo ventinove anni al servizio della Diocesi di Roma. Ne danno conferma le sue dichiarazioni: «è stato sempre un mio vivo desiderio. Personalmente non ho mai chiesto al Papa di ritornare né lo ha fatto qualcuno per me. Vivo questo ritorno come una vera e propria chiamata. Per me anche inaspettata». A Roma in questi anni ha servito tre Papi. «Con Giovanni Paolo II - dice - sono stato parroco a San Romano martire.
Essergli di aiuto è stato per me un onore e una gioia». Con visibile emozione rivive il giorno della visita di Wojtyla nella sua parrocchia: «è stata veramente bellissima. Ha lasciato un segno in tutta la comunità». Prosegue: «poi è arrivato Benedetto XVI il Papa che mi ha voluto Vescovo, uomo di un’intelligenza straordinaria e di uno spessore culturale non comune, altissimo. E infine Papa Francesco che mi ha affidato la Chiesa di Cefalù come sposa. Anche se il vero sposo è Gesù Cristo. Noi siamo gli amici dello Sposo».
Sull’esperienza di parroco a San Romano i ricordi sono tanti: «La prima volta che vi andai, girai il quartiere per ben tre volte. Non riuscivo a trovare la parrocchia perché era nascosta nel territorio. Rispondeva bene all’idea di parrocchia di Giovanni Paolo II; di una Chiesa come casa tra le case».
Il presule con tono pacato ed elegante continua a sfogliare le pagine della memoria del suo parrocato: «a San Romano sono stato 20 anni. Quando per la prima volta ho fatto il giro per le case ho trovato tante famiglie giovani e tante abitazioni date in affitto agli studenti universitari: la parrocchia sorge alle spalle dell’Università La Sapienza». Prosegue: «subito mi resi conto che bisognava attivare una pastorale ad hoc per i giovani universitari.
Negli anni i frutti non sono mancati: alcuni studenti hanno anche maturato la scelta alla vita consacrata o sacerdotale».
Nelle due decadi di pastore a San Romano ha visto mutare il volto delle periferie della capitale: «dopo 20 anni, rifacendo il giro delle case c’erano ancora molti studenti universitari, ma poche famiglie giovani e tanti gli anziani». Marciante a questa analisi affianca il passo profetico e vigilante del pastore: «Bisogna percorrere le periferie non solo con lo sguardo del presente. Dovremmo anticipare in qualche modo il futuro». Da quest’esperienza le lezioni furono tante e tutte preziose per il ministero di Vescovo: «Capii che il Vescovo non deve stare in ufficio attendendo chi lo venga a trovare. Deve uscire. Andare in cerca, spostarsi. La mia vita l’ho trascorsa tra le strade. Mi è stato affidato un settore vastissimo, una grossa periferia che contiene secondo una recente mappatura tre città italiane.
Ho visitato soprattutto le zone più periferiche del Settore». Così con voce pacata che rivela la pazienza del suo cuore, parla di quella che è stata, tra le parrocchie, "la figlia" che ha amato di più: «Tor Bella Monaca è stata la comunità che ho visitato di più e dove ho presieduto la mia ultima Celebrazione a Roma. In questo territorio in tanti hanno pensato di mettere gli scarti. Per noi gli scarti diventano la pietra angolare. Lì si misura la capacità della Chiesa di evangelizzare veramente i poveri». Anche dall’esperienza di vescovo ausiliare del Settore Est della Diocesi di Roma gli insegnamenti non sono mancati:«Ho ben compreso che le parrocchie devono essere da una parte un centro propulsore di vita evangelica, ma dall’altra anche un centro di elaborazione culturale, perché spesso la nostra gente non sa fare la mediazione culturale del Vangelo».
Ci sono altre perle preziose che Mons. Marciante ha raccolto in questi anni e che ora porterà con sé per servire la diocesi di Cefalù: «La dimensione popolare della Chiesa. Bisogna puntare molto sul popolo di Dio. La Chiesa è il popolo di Dio». «Questa - prosegue - è stata una grande intuizione del Concilio Vaticano II che ci viene sempre ricordata da Papa Francesco».
L’altra perla, che sarà una sorta di colonna portante del suo ministero, è la sinodalità: «Anche questa è una grande intuizione del Concilio, ma - dice con voce mesta-ce ne manca l’esercizio. È stata relegata ad alcuni eventi, invece è uno stile di vita ecclesiale. Occorre pensare, progettare, scegliere, camminare insieme».
La voce del Vescovo Giuseppe improvvisamente diventa ferma, determinata; lascia chiaramente intendere che sul percorso sinodale non si transige. Sarà il faro luminoso che guiderà il Vescovo e la sua Chiesa.
Il presule continua la sua analisi: «La Chiesa,all’interno della società attuale, non ha più riconosciuta la stessa presenza del passato. Questo non può essere vissuto con frustrazione e con senso di inferiorità, ochiudendosi e assumendo un atteggiamento difensivo che va all’attacco verso il mondo. La Chiesa ha una terza via che è quella della proposta». «Mi ricordo che il cardinale Ratzinger ad uno degli incontri in Cattedrale dopo la missione cittadina che si è svolta a Roma, disse: "Non bisogna più presupporre la fede, bisogna proporre la fede". La Chiesa deve essere in questo momento propositiva, come sta facendo Papa Francesco».
La quarta perla è la relazionalità. «Il Vangelo - dice Marciante - entra in una cultura attraverso la relazione. Se manca la relazione manca il dialogo, manca anche la penetrazione del Vangelo. La cura delle relazioni, come faceva Gesù, è la porta d’ingresso del Vangelo». Nel profilo episcopale di Marciante resta vivo in tutti la critica al funerale-show di Vittorio Casamonica. Su quella vicenda così si esprime: «I mezzi di comunicazione sociale a volte prendono certe espressioni o prese di posizioni secondo quello che vogliono dimostrare. In quella occasione la mia idea era: la misericordia di Dio arriva a tutti». Ma puntualizza: «La misericordia non può essere equivocata». Specifica ulteriormente: «Nessuno, nel contesto della morte, può trasformare ed esaltare un atteggiamento delittuoso in atteggiamento corretto o virtuoso. Questo non è avere amore né alla verità né alla misericordia di Dio».
Il neo Vescovo di Cefalù sulle povertà della sua Diocesi afferma: «Devo mettermi seriamente a studiare per conoscerle bene. So già che una delle sofferenze più forti è la fuga dei giovani che scappano perché non vedono futuro. Tutto questo l’ho sperimentato. Alcuni miei nipoti son dovuti andare in Germania a trovare lavoro, altrimenti rischiavano di morire di fame». Su questo dramma per Marciante non si deve dare spazio alla rassegnazione. Con la lucidità del pastore che dialoga con la storia e con il presente senza voler rimanere seduto, dice: «una comunità sociale, politica, che non sa trattenere i propri figli, che non riesce a donare prospettive, deve sentire fortemente, come una madre, il peso delle sue colpe».
Il Vescovo incalza accoratamente: «Non possiamo sentirci a posto con la coscienza. La Chiesa è chiamata a dare ai giovani strumenti culturali per percepire quali potrebbero essere le prospettive per il domani». Il primo deciso passo verso i giovani il Vescovo l’ha già fatto: «Ho chiesto se c’è una scuola per giovani imprenditori. Mi è stato detto di no. Se non esiste bisogna inventarla».
Su Chiesa e giovani puntualizza: «Bisogna chiedersi come convertire un disagio in un progetto. Su questo la Chiesa può collaborare.Potrebbe essere il punto di incontro di diverse energie. Bisogna dare ai giovani almeno la possibilità di sognare. Quando i sogni sono fatti insieme e vengono da Dio possono diventare realtà».
Per il Vescovo Marciante i sogni sono legati alla speranza e la speranza è legata all’immagine del mandorlo in fiore visto dal profeta Geremia in un momento di grande sofferenza del popolo di Dio. Il prelato, ancorato alla speranza che questa immagine biblica consegna e all’affetto che lo lega alla sua terra, dichiara: «anche la Sicilia nei momenti di sofferenza ha saputo dare le prospettive più grandi e i progetti più nobili, così come nei grandi passaggi culturali. Per la nostra isola ci sono delle prospettive di futuro perché abbiamo tante risorse: naturali, culturali e umane». «Nelle risorse - dice - c’è la possibilità del riscatto e di un futuro. Noi dobbiamo accompagnare ed incoraggiare queste risorse. Se noi sappiamo leggere la storia possiamo intravvedere dei segni di speranza e di primavera anche in questa stagione invernale che stiamo vivendo».
Marciante ha un’altra ferrea convinzione: in ogni dinamica che apre le porte alla speranza è necessaria la presenza del vescovo. Dice: «Il vescovo è colui che vigila, guarda dall’alto e munito della Parola di Dio, che diventa il nostro criterio di discernimento, può capire dove ci porta la storia». Sulla pastorale verso "gli ultimi" il Vescovo Giuseppe, autenticamente legato agli insegnamenti di Papa Francesco in Evangelii Gaudium, ha le idee molto chiare: «La Chiesa ha i segni della carità che sono forti: accogliere, dar da mangiare, vestire, istruire. Questi da soli non bastano. Deve dare i segni della dignità. Occorre elaborare progetti per chi vive situazioni di disagio, sofferenza, minorità. Consentire a questi nostri fratelli di non essere coloro che stanno a rimorchio. Il povero deve essere una risorsa. Dobbiamo stare in ascolto del magistero dei poveri». Ma non solo dei poveri.
Citando Bergoglio dice: «Cercherò di essere il vescovo che sta davanti, in mezzo e dietro al gregge. Dovrò guidare. Vivere ciò che vive il popolo di Dio. Sapere che qualche volta anche il vescovo può essere guidato dal suo popolo: deve saper ascoltare i laici. Nel campo politico, sociale ed economico possono anche essere dei maestri». Amare la Chiesa significa anche: «Guardare ai lontani con lo stesso sguardo del Padre misericordioso che attendeva il figliol prodigo, avvicinandoli con amore perché così possono capire determinati errori». L’amore di Marciante per il popolo che gli è stato affidato contiene un invito paterno alla conversione pastorale e missionaria di tutta la comunità ecclesiale. Dichiara: «conversione è vero cambiamento.
Non è un lifting da fare alla Chiesa. I veri cambiamenti nascono dal cuore. La vera conversione pastorale è conversione al Vangelo.
Il Vangelo è il nostro futuro, anche come Chiesa. Conversione significa che tutto non può restare come prima. Se tutto resta come prima, non c’è vera conversione».
Il primo appuntamento per l’inizio del ministero pastorale del neo vescovo di Cefalù sarà alle ore 12.00 del 14 aprile presso il Santuario mariano di Gibilmanna: «bisogna partire sempre dalla Madre perché la Madre conosce il cuore dei figli e i suoi segreti. Chiederò a Lei di insegnarmi come entrare nel cuore di questo popolo da amare».Marciante poi incontrerà i figli più fragili, più deboli visitando gli ammalati più gravi dell’ospedale Giglio della città normanna. «A loro - dice il Vescovo - darò personalmente e concretamente una carezza che è l’attenzione della Chiesa per chi soffre. A volte questo significa semplicemente uno stare accanto, raccogliere un lamento, accompagnare con la preghiera». «La medicina ha le sue armi. La Chiesa ha le sue risorse: la preghiera e la tenerezza».
Il Vescovo Giuseppe ci consegna umilmente i suoi sentimenti di paternità e maternità che vogliono accompagnare il suo ministero episcopale,ricordando a se stesso: «Anche io sono stato un figlio, uno tra sette figli. Per i genitori mettere al mondo un figlio è una gioia, crescerli è una fatica». Giuseppe Marciante come vescovo ha già mostrato la sua carta d’identità.
È il pastore che ha il profumo delle pecore, l’odore graffiante della profezia, che si nutre della Parola di Dio e dei sapori del Concilio. Con un segno particolare: testimone dell’intelligenza della fede.
Don Franco Mogavero
Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali