Intervista al Vescovo di Cefalù sull’eventualità di un reparto COVID-19 nell’Ospedale Giglio
Eccellenza Reverendissima in questi giorni si è aperta una discussione anche aspra sull’eventualità che all’interno dell’Ospedale Giglio di Cefalù venga aperto un reparto COVID-19, pur mantenendo in attività gli altri reparti. Perplessità sono state espresse da alcuni sindaci del Distretto Sanitario 33, da alcuni medici e operatori sanitari che vedono questa strada come non percorribile. Il Comitato Madonie Nebrodi a tutela dell’Ospedale Giglio di Cefalù, che tante battaglie ha portato avanti in questi anni a salvaguardia del nosocomio, ha promosso una petizione indirizzata al Presidente della Regione Siciliana, l’On. Nello Musumeci, al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, al Ministro della Salute Roberto Speranza e all’Assessore regionale alla sanità Ruggero Razza, chiedendo di scongiurare questa possibilità perchè, tra le altre cose, la configurazione della struttura ospedaliera formata da un “unico corpo di fabbrica” non permetterebbe la promiscuità di destinazione d’uso in sicurezza. Come Vescovo di Cefalù, attento alle problematiche di questo territorio, cosa ne pensa?
Ho seguito la vicenda da vicino. La petizione ha fatto subito il suo ingresso e il suo “girotondo” nel mondo della rete. L’ho letta anch’io come tantissimi cittadini, come tanti cristiani. Come Vescovo di questa Chiesa. Certamente sono consapevole che la promiscuità della destinazione d’uso, associata a quella del personale sanitario, possono risultare altamente pericolose per la pubblica incolumità, per il personale sanitario, l’utenza e l’intero territorio.
Alle Autorità competenti viene fatta richiesta di scongiurare quella che potrebbe trasformarsi in una vera e propria tragedia, che potrebbe contribuire, in questo periodo di particolare emergenza, al collasso dell’intero sistema regionale sanitario.
Nella petizione promossa online, il Comitato e il personale sanitario esprimono alcune legittime preoccupazioni sul piano della sicurezza. Lei come legge le perplessità espresse?
Non è nelle mie facoltà o possibilità leggerla con la stessa preparazione, con quel bagaglio nutrito di competenze che può possedere soltanto quell’equipe di esperti, certamente altamente qualificato, del mondo della sanità, che ne ha predisposto e pianificato con la massima accortezza l’apertura. Dopo la lettura della petizione, mi sono raccolto in preghiera con il desiderio di unire la terra al Cielo. Una preghiera prolungata; un corposo dialogo con Dio. A Lui ho consegnato le tante, le forti paure dei nostri medici, infermieri, di tutto il personale sanitario del nostro ospedale di Cefalù. Paure per la propria vita messa a rischio e, ancora di più, quella dei familiari: mariti, mogli, figli, anziani genitori. Preoccupazione per i tanti ammalati che vi si trovano e che vi accederanno. Per tutti i nostri medici e infermieri, per tutto il personale nutro e dobbiamo nutrire un profondo rispetto, accompagnato da una sconfinata gratitudine per il servizio che prestano e presteranno. Poi ho pensato al Vangelo.
La Parola del Signore è quel seme che viene gettato sulla terra buona. La terra buona, a sua volta, è la storia. Dobbiamo tutti quanti far germogliare il Vangelo, con i Suoi semi, nella storia, in questo tempo, in questi giorni di straordinaria emergenza per il Coronavirus. Ho pensato al nostro bisogno di volere essere Chiesa in uscita. Dobbiamo esserlo. Nei nostri ospedali, nel nostro ospedale di Cefalù, in quelli da campo a soccorrere, a cercare di far vivere, di attenuare le sofferenze di quanti la morte vorrebbe falciare.
Lei nel suo mandato episcopale alla guida della Chiesa cefaludense si è sempre mostrato vicino ai problemi e alle preoccupazioni del territorio. Come Pastore di questa comunità diocesana, cosa si sente di dire ai fedeli?
Il cristiano è chiamato sempre a stare dalla parte della vita. Ho pensato anche a un libro che avevo letto ancor prima che esplodesse il COVID-19 in Italia. Il libro porta le firme del Cardinale di Bologna, Mons. Matteo Zuppi e di Lorenzo Fazzini, un giornalista di Avvenire. Con don Matteo abbiamo lavorato insieme a Roma. Il libro ha un titolo ad effetto: Odierai il prossimo tuo. Contiene anche due sottotitoli: Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente. Così ho iniziato a leggere le dinamiche che hanno potuto portare alla stesura della petizione, a partire da quel comandamento che fa da bussola alla vita di ogni credente e di ogni uomo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso».
L’ho trovato, nel rispetto di ogni pensiero e della libertà di pensiero che resta il patrimonio più bello che abbiamo, completamente ribaltato. Messo sottosopra. Schiacciato, frantumato dalle nostre paure. Dal nostro esasperato individualismo. Con la richiesta di bloccare l’apertura di un reparto COVID-19 all’interno dell’Ospedale Giglio abbiamo pensato e pensiamo solo a difenderci. Ci siamo schierati in nostra difesa. E il nostro prossimo? Il mio prossimo? Questi potrebbe anche essere mio padre, mia madre, mio figlio, mia moglie. Proprio coloro che voglio custodire. Potrei essere anch’io.
Le paure del tempo presente possono spingerci alla morte del prossimo. Alla crisi del noi. Non dimentichiamolo: gli altri siamo noi. Siamo persone e non numeri. Il malato, chi è colpito da questo maledetto virus resta un uomo, è una persona. È mio, nostro fratello. Per ognuno di loro vige quel consiglio evangelico: «Fa agli altri quello che vuoi sia fatto a te». Questi poveri “Lazzaro” che sono in aumento di giorno in giorno, non vediamoli solamente come dei potenziali untori. Come degli appestati, dei nuovi lebbrosi. Come un tremendo pericolo per le nostre vite.
Cosa chiedere dunque per i sanitari, gli infermieri, il personale delle pulizie e i degenti dell’ospedale Giglio? E noi come cristiani come possiamo affrontare questa emergenza senza farci sopraffare dalla paura, restando invece vicini al nostro “prossimo”?
Nella petizione diramata si parla di promiscuità di destinazione d’uso e anche del personale sanitario. È nostro dovere chiedere la presenza di aree separate, di corridoi e reparti privi di comuni entrate e uscite. Dobbiamo, urlare a chi sta ai vertici del mondo della Sanità tutela e massima protezione per medici, infermieri, personali pulizie, ammalati, per ognuno di noi. Chiediamo per loro mascherine, tute, guanti, caschi; tutta quell’attrezzatura salvavita per quanti stanno “in frontiera”. Impegniamoci noi tutti senza se e senza ma a rispettare quelle regole che devono gestire la nostra quotidianità per bloccare questo nemico, questo “Erode” invisibile. Non parliamo di “ospedali chiusi” o di “ospedali aperti” ai reparti COVID-19. Sarebbe scegliere di odiare il nostro prossimo, sarebbe negare la fraternità, sarebbe solo uno spalancare le porte dell’anima alle paure. Al pessimismo.
Non parliamo di sani o di malati. Sappiamo che ci sono anche i malati asintomatici. Parliamo di fratelli. Contrastiamo ogni nostra paura con l’amore. La paura può mandare in letargo la ragione. Il sonno della ragione genera mostri e non persone. Questa corsa alla vita non trovi chiusi i cancelli del nostro ospedale di Cefalù. Sostituiamo al “corto” respiro che soffoca e che uccide del COVID-19, il respiro dell’amore che si fida e si affida alle scelte, alle linee guida di chi ne ha le competenze, di chi è chiamato ad assumersi le responsabilità sull’apertura di un reparto COVID nel nostro nosocomio. Le strategie difensive non sono mai risolutive. Non riduciamo il dramma di quanti lottano o lotteranno contro il Coronavirus per vivere, a calcoli o interessi che (possibilmente) potrebbero anche misurarsi con competizioni politiche o pseudo politiche.
È il tempo della chiamata a essere tutti lottatori di speranza e facitori dell’Amore. Invochiamo la solidarietà intelligente: È l’ora in cui i nostri occhi devono guardare in faccia gli occhi di quanti ti chiedono di essere “intubati” per vivere. Possiamo loro voltare le spalle, i nostri cuori e dire: “Per te non c’è posto”? Diamo voce alla Voce di Gesù: «Qualsiasi cosa avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatta a me». Strangoliamo le paure. Buttiamoci nelle acque della vita, per salvare quanti rischiano di morire soffocati. Non chiediamo chiusura di reparti COVID-19. Chiediamo al nostro Dio, ai nostri medici, a quanti hanno le competenze di farci dono delle giuste istruzioni, di non farci mancare tutto quello che è indispensabile per salvare e salvarci la Vita. Sottoscriviamo questa preghiera.
Da: https://www.cefalunews.org/2020/04/04/ospedale-giglio-intervista-al-vescovo-mons-giuseppe-marciante/