Discorsi e Interventi del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Videoconferenza con il Clero diocesano in prossimità della Pasqua in tempo di pandemia
Palazzo Vescovile
Cefalù, 09 aprile 2020
Carissimi,
dopo aver pregato insieme, desidero rivolegerVi un pensiero in prossimità della Pasqua.
Un antico detto contenuto nella raccolta dei Pirqè Avot (Detti dei Padri) e attribuito a Simeone il Giusto che fu Sommo Sacerdote a Gerusalemme (310-291 a.C) dice che il mondo poggia su tre colonne:
- Lo studio della Torà (ricevuta da Mosè) (sensibilità dei sapienti-farisei);
- La Avodà (il culto, la preghiera) (sensibilità sacerdotale – sadducei);
- Le opere di misericordia (Pirqè Avot 1,2) (sensibilità profetica – esseni).
La tradizione cristiana non ha mancato di cogliere a sua volta la propria via a partire da un triplice principio strutturante attraverso una massima analoga tratta da At 2,42 («Erano perseveranti nell'insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere») anche se sposta l’ordine delle colonne:
- L'insegnamento degli Apostoli (didaché ton Apostolon);
- La comunione (koinonia);
- Nella frazione del pane e nella preghiera (klasis tou artou – proseuchais).
1. Come si può notare la priorità sta nell’insegnamento, un insegnamento dato con autorità perché viene dallo Spirito prima effuso su Cristo al Giordano e poi sugli Apostoli a Pentecoste, insegnamento accompagnato da segni e prodigi (At 5,12).
2. Koinonia, ogni cosa in comune, «Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno».
3. Klasis tou artou, fractio panis, possiede un carattere concreto, essa è affiancata dalla koinonia e dalla preghiera: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo (vv. 46-47). Impossibile compiere la fractio senza la koinonia: «Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Chi fa il gesto della fractio panis lo fa in preghiera, tutto rivolto verso Dio. L’Eucaristia implica quindi la dimensione orizzontale pasto comunitario e la dimensione verticale in cui tutto è portato a Dio come un’offerta.
Nel 1985 si tenne a Roma il Sinodo straordinario sul ventesimo anniversario della conclusione del Concilio; nelle conclusioni si esprime l’auspicio che: «Lo Spirito per intercessione di Maria, Madre della Chiesa, faccia sì che in questo scorcio di secolo: La Chiesa nella Parola di Dio celebri i misteri di Cristo per la salvezza del mondo». Una formula che integra le quattro costituzioni fondamentali: la Dei Verbum (La Parola di Dio), la Lumen Gentium (la koinonia), la Sacrosantum Concilium (La liturgia) e la Gaudium et Spes (il servizio della Chiesa nel mondo).
Chiediamoci: come decliniamo nella concretezza della vita pastorale queste tre colonne?
La colonna della Parola.
All’inizio la Parola è il percorso aperto dalla prima lettera pastorale. Stare sotto la Parola, sub Verbo Dei. In principio era il verbo. Se in occidente si pone oggi la domanda: cosa significa essere cristiani?
La prima risposta è “essere buoni con il prossimo” eventualmente “andare a messa la domenica”.
Al primo posto la dimensione sociale, forse al secondo il dovere del culto. È del tutto sconosciuta la prima dimensione.
In verità a fondamento di un’esistenza di fede ci dovrebbe essere la percezione che la vita e il senso che le diamo ci vengono da altrove.
San Girolamo scrive: Il sole che si leva ti trovi sempre con il libro in mano», così come la creazione comincia con: «E Dio disse: Sia la luce”» (Gn 1,3). San Paolo ci esorta: «La Parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza» (Col 3,16).
Gesù, Parola fatta carne, è morto con la parola dei salmi sulle labbra. Tutti e quattro gli Evangelisti gli mettono sulle labbra il versetto di un salmo, uno per indicare tutto:
- Mc e Mt 22,1: «“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”»;
- Lc 31,6: «“Nelle tue mani consegno il mio spirito”»;
- Gv 22,16: «“È arido come un coccio il mio palato”».
Oppure il Sal 69,4: «Sono sfinito dal gridare, la mia gola è riarsa; i miei occhi si consumano nell'attesa del mio Dio».
Nel ricordo del Card. Angelo Comastri della morte di San Giovanni Paolo II, si apprende che il Papa nel momento del trapasso ha voluto che gli si leggesse il Vangelo della morte e risurrezione di Cristo.
La Parola di Dio dà forma alla vita di noi sacerdoti? Informa la vita pastorale? Abbiamo approfittato di questo tempo di clausura per dedicarci alla Parola e trasmetterla?
La colonna della Preghiera.
Il posto che Luca negli Atti dà alla fractio panis è tra il polo della koinonia (la vita comune) e quello della preghiera. Questa successione rivela che l’Eucaristia (fractio panis) è condivisione fraterna alla stessa mensa, ma allo stesso tempo è azione sacrificale, è offerta, è rendimento di grazie (Eucaristia), offerta, preghiera, culto reso a Dio.
Nella misura in cui l’eucaristia è comunione allo stesso corpo e allo stesso sangue l’accento si pone sulla condivisione della stessa mensa quindi sulla koinonia della carità dove ognuno riceve secondo i suoi bisogni. Nella misura in cui l’Eucaristia è vissuta sotto lo sguardo cultuale, celebrare l’eucaristia è una grande preghiera di lode e di azione di grazie compiuta dalla comunità, anche se la comunità è assente fisicamente perché impedita come in questa situazione di pandemia. Nella situazione in cui e costretta a non partecipare essa è capace di testimoniare col sangue la sua partecipazione; vedi i Martiri di Abitene.
I due poli vanno tenuti insieme e mai separati. Nella fractio, nello spezzare il pane c’è quindi la duplice dimensione: il condividere e l’offrire. È questo il significato profondo della vita di Gesù, sintetizzato nel segno offerto alla vigilia della sua passione: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto per voi; prendete e bevete, questo è il mio sangue versato per voi». Mangiando un solo pane e bevendo ad un solo calice noi annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua resurrezione, nell’attesa della sua venuta.
L’Eucaristia quindi è celebrazione coram Populo e coram Deo.
Anche nella celebrazione senza il Popolo, meglio dire senza il Popolo presente perché impedito. Perciò il Popolo non è assente è impedito.
Il Popolo è presente nel desiderio di esserci. Ma la tensione è ritornare quanto prima ad essere presenti. Altro è il Popolo assente perché non vuole esserci e magari assiste comodamente in pigiama e in pantofole da casa davanti al televisore mentre cucina o fa altre cose e così pensa erroneamente di aver partecipato.
La televisione o il computer non sostituiscono la presenza e la partecipazione, ma aiutano il desiderio di esserci. Altra cosa ancora è per il sacerdote celebrare da solo perché non si vuole il Popolo.
La colonna delle opere di Misericordia.
Le opere di misericordia sono legate alla didachè (agli insegnamenti), alla koinonia e alla fractio panis.
Nella riflessione rabbinica questa dimensione è incarnata da Mosè ed ha come attributo la manna, il cui vero miracolo consiste nel fatto che ogni mattina ciascuno trova quanto basta per i suoi bisogni, né troppo né poco.
Per i Cristiani il prototipo è Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi della sua povertà» (2Cor 8,9) e ci ha ricolmati della sua kenosis, «ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,7).
Porto un episodio emblematico del Vangelo di Giovanni: la moltiplicazione dei pani e dei pesci (cfr. Gv 6,1ss).
Il segno lega insieme koinonia, Eucaristia, preghiera, spiegato nell’insegnamento di Gesù sul pane della vita che occupa tutto il capitolo 6. Possiamo dire che il segno della moltiplicazione sostituisce l’istituzione dell’Eucaristia in Giovanni dove abbiamo invece la lavanda dei piedi. Gesù ha compiuto molti segni sui malati, la sua azione e la sua predicazione destano stupore e curiosità al punto che una grande folla lo segue.
«Era vicina la festa di Pasqua». Il segno della moltiplicazione va letto in chiave pasquale in fatti racconta dell’amore di Dio che dona Suo Figlio. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (6,51)
Gesù riceve nelle sue mani il pane e i pesci; rende grazie; lo spezza; lo dona; lo distribuisce; lo spiega. Ci sono tutti gli elementi dei tre pilastri. Dare la vita è tutta contenuta nella sequenza dei gesti fatti da Gesù: «Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano» .
Nel sinottici mi piace l’espressione: «Date voi stessi da mangiare», cioè le opere di Misericordia non vanno delegate, ma ogni credente è chiamato a viverle. Gli Apostoli impareranno la lezione, così in At 4,32-37:
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli Apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
In questi giorni siamo chiamati a compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani attraverso le nostre Parrocchie, le Caritas, le Misericordie e le Confraternite. Quel date voi stessi da mangiare in questa circostanza significa anche essere disposti a rischiare la vita. Molti svolgono un servizio rischioso per la loro vita; pensate ai medici, agli infermieri, agli addetti deisupermercati, alle forze dell'ordine, ai nostri cappellani in ospedale; pensate ai nostri volontari.
Carissimi,
date voi stessi da mangiare come Cristo ha dato il suo corpo e il suo sangue. Siate in prima linea nell’esercizio della carità e non in retroguardia. Nel celebrare l’Eucaristia, nel momento in cui pronunciate le parole della consacrazione, pensate a Gesù che vi dice: «Date voi stessi da mangiare».