Discorsi e Interventi del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Discorso nell'incontro con i Sindaci dei Comuni della Diocesi e con i Rappresentanti di altre Istituzioni locali
Santuario di Maria Santissima di Gibilmanna
Gibilmanna, 19 dicembre 2020
Cari Sindaci,
vi ringrazio per aver accolto, come ogni anno, il mio invito a questo importante appuntamento di confronto e di condivisione.
Le due Lettere Encicliche "Laudato si’" e "Fratelli Tutti" di Papa Francesco s'inseriscono e si aggiungono alla dottrina sociale della Chiesa. Esse risultano provvidenziali, specialmente in questo tempo di crisi per indicare all’umanità che è davvero urgente cambiare via.
Viviamo in un’era desertica del pensiero che non riesce a concepire la complessità della condizione umana nell’età globale e, in particolare, la complessità della crisi ecologica e umanitaria.
È un pensiero sbriciolato in tanti frammenti che non riesce a vedere i rapporti fra le molte dimensioni della nostra crisi: economica, politica, sociale, culturale, morale e spirituale. Nel “deserto” attuale le Encicliche rispondono alla necessità di pensare questa complessità.
Francesco mostra che l’ecologia riguarda le nostre vite in profondità, la nostra civiltà, i modi delle nostre azioni, le nostre riflessioni.
La "Laudato si’" segna una presa di coscienza, è un incitamento a ripensare la nostra società e ad agire. Critica quello che definisce “l’antropocentrismo deviato” che mette l’uomo al centro dell’universo; che considera l’uomo come solo soggetto dell’universo e attraverso il quale l’uomo prende il posto di Dio. Scivolare in questa deriva antropocentrica significa infatti fare dell’uomo, secondo la formula di Cartesio, il padrone e il dominatore della natura. [1]
"Fratelli tutti" declina insieme la fraternità e l’amicizia sociale. Questo è il nucleo centrale del testo e del suo significato. Il realismo che attraversa le pagine stempera ogni vuoto romanticismo sempre in agguato quando si parla di fratellanza.
La fratellanza non è solamente un’emozione o un sentimento o un’idea, per quanto nobile, per Francesco, ma un dato di fatto che poi implica anche l’uscita, l’azione (e la libertà): «Di chi mi faccio fratello?». Occorre riscoprire questa potente parola evangelica, ripresa nel motto della Rivoluzione Francese, ma che l’ordine postrivoluzionario ha poi abbandonato fino alla sua cancellazione dal lessico politico-economico. E noi l’abbiamo sostituita con quella più debole di «solidarietà».
La fratellanza è poi la base solida per vivere l’«amicizia sociale».
Ancora Papa Francesco nel 2015, parlando a L’Avana, ha ricordato che una volta era andato in visita in un’area molto povera di Buenos Aires.
Il parroco del quartiere gli aveva presentato un gruppo di giovani che stava costruendo alcuni locali: «Questo è l’architetto, è ebreo; questo è comunista, questo è cattolico praticante, questo è…». Commentò il Papa: «Erano tutti diversi, ma tutti stavano lavorando insieme per il bene comune». Francesco chiama questa attitudine «amicizia sociale» che sa coniugare i diritti con la responsabilità per il bene comune, le diversità con il riconoscimento di una fratellanza radicale.[2]
Sono due gli eventi che segnano la mia riflessione nella giornata odierna, il primo non può che essere il contesto sociale, sanitario ed economico che stiamo vivendo a causa della pandemia in corso, il secondo un po’ più particolare è la celebrazione del XII Sinodo della Diocesi che ho voluto indire lo scorso 28 novembre nella Basilica Cattedrale.
1. La pandemia.
Edgar Morin è sociologo, filosofo e saggista francese di origine ebraica. Iniziatore del “pensiero complesso” - la necessità di una nuova conoscenza che superi la separazione dei saperi presente nella nostra epoca e che sia capace di educare gli educatori ad un pensiero della complessità -, è uno dei più grandi intellettuali contemporanei. Intervistato da Avvenire ha dichiarato:
Stiamo vivendo una tripla crisi: quella biologica di una pandemia che minaccia indistintamente le nostre vite, quella economica nata dalle misure restrittive e quella di civiltà, con il brusco passaggio da una civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità. Una policrisi che dovrebbe provocare una crisi del pensiero politico e del pensiero in sé. Forse una crisi esistenziale salutare. Abbiamo bisogno di un umanesimo rigenerato, che attinga alle sorgenti dell’etica: la solidarietà e la responsabilità, presenti in ogni società umana. Essenzialmente un umanesimo planetario.[3]
Agnostico, alla soglia dei 100 anni di età, ha scritto un testo interessante: “Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus” scritto insieme a Sabah Abouessalam. Morin ha definito il tempo della pandemia come il tempo delle crisi interconnesse e complesse, cioè tessute insieme. Ed è vero. Tutto ciò che prima sembrava diviso, spezzettato col Coronavirus è diventato inseparabile. Per queste feste possibilmente ci ritroveremo ad essere “cementati” tra le mura delle nostre case. Chiusi, quasi reclusi. Ma sempre aperti alla speranza. Alla progettualità.
Viviamo le ore di queste giornate riflettendo sulle nostre vite, sulle nostre relazioni. Ogni crisi è inquietante, ma ogni crisi conduce ad una crescita.
La crisi non ci lascia nell’incertezza, ma ci conduce alla scelta: ci educa al discernimento.
Le interminabili e dolorose giornate della pandemia devono trasformarsi “nell‘ora” della scelta. Il modus vivendi completamente rivoluzionato di celebrare le feste ci chiede senza se e senza ma di lasciare il futile e il superfluo per l’essenziale. Di azzerare ogni forma di realizzazione individuale per scegliere la comunità e la solidarietà.
I nostri io devono diventare un noi. Il mio Comune potrebbe diventare i nostri Comuni. L’estendersi dei contagi da Coronavirus da un paese all’altro, sebbene con numeri diversi dei colpiti e dei decessi, ci ha fatto vivere questa identità del noi. Ce lo ha fatto sperimentare. Ci siamo sentiti un solo corpo. Tutti uguali. Tutti colpiti, ma tutti disposti a lottare insieme.
Il Coronavirus da potenti ci ha fatto diventare deboli. Da giocatori-giocati, ma pronti a fare squadra. Pronti a scendere in campo insieme con un unico arbitro la vita. O meglio, la custodia della vita di tutti, a partire dalla propria.
Cari Sindaci, il Covid- 19 ha fatto scendere in campo la paura della morte. L’abbiamo sempre tutti quanti rinviata ad un futuro senza scadenze. La pandemia l’ha posta accanto a noi.
Nei nostri ospedali e nelle nostre case. Anche dei nostri concittadini hanno vissuto l’indescrivibile e ingestibile esperienza della separazione.
Figli che hanno dovuto lasciare i familiari da soli. Intubati. Attaccati ai respiratori, ma non alle loro mani. Una atroce paralisi dei sentimenti più belli. Più intimi. Di riflesso, per contrasto i nostri occhi hanno visto anche un risveglio di svariate e continue forme di solidarietà. Come se dentro un gelidissimo inverno ci fosse anche una fiorita primavera.
Ci siamo nell’emergenza inventati atti e gesti di carità; a catena. Ci siamo reinventati. In qualche caso siamo riusciti anche ad uscire da sentieri battuti.
Lo avete fatto anche voi Sindaci con le vostre Amministrazioni: consegne gratuite a domicilio, aiuti economici, produzione di mascherine artigianali distribuite a tappeto, drive in per tamponi.
Attenzioni commoventi che, a dire il vero, prima della pandemia erano molto tiepide per anziani, vedovi e vedove.
Dalla cattedra “dolorosa” del Coronavirus facciamo nostra questa lezione: non si può conoscere l’imprevedibile, ma se ne può prevedere l’eventualità. Ci siamo misurati con le nostre lentezze, secche impreparazioni, abbiamo visto in faccia pesanti fallimenti legati a decisioni non sostenute da adeguate preparazioni.
Eccesso di centralismo e regionalismo, di burocrazia. Si aprono per noi, per il futuro dei nostri Comuni grandi sfide.
Dobbiamo convincerci che l’economia fondata sui soli calcoli disumanizza e ignora totalmente l’improbabile e l’imprevisto. Lo sviluppo dei beni materiali deve unirsi ad uno stile di vita che riesce a mettere insieme l’io e il noi.
Puntiamo su un risveglio delle nostre intelligenze e delle nostre coscienze. Educhiamoci a una cura responsabile del nostro territorio. L’ecopolitica è una necessità. Pensiamo al nostro Parco delle Madonie, tesoro ancora nascosto, per certi aspetti sotterrato.
Puntiamo su uno sviluppo, su un sostegno ancora maggiore alle aziende agricole gestite dalle nostre famiglie dei nostri paesi.
La nostra è una società intossicata da un costante degrado ecologico.
Sostituiamo all’egemonia della quantità quella della qualità. Al desiderio morboso del più il bisogno del meglio.
Ogni crisi fa esplodere le qualità rigeneratrici presenti in ogni società umana. Anche le più nascoste. Holderline affermava: «Lì dove cresce il pericolo lì cresce anche ciò che salva».
La speranza ha come madre molto spesso il dolore, il pericolo e la scommessa.
a. I nostri anziani si sono rivelati l’anello più fragile e più colpito dal virus, molti hanno perso la vita negli ospedali e nelle case di riposo senza neppure il conforto della vicinanza di un familiare. Insieme a coloro che sono stati coinvolti dalla malattia ve ne sono tanti che hanno visto accentuarsi le loro condizioni di solitudine, allora mi chiedo:
- Qual è la situazione dei nostri Comuni?
- Quali sono le iniziative che avete messo in atto per fronteggiare questa emergenza?
- Che cosa possiamo fare insieme per loro?
b. I nostri giovani sono un’altra realtà che sta subendo fortemente le conseguenze della pandemia. Per molti di loro, soprattutto per i tanti impegnati nei vari percorsi universitari continua lo studio con la didattica a distanza e nello stesso tempo sono ritornati a vivere con le proprie famiglie.
Sono energie, forze ed intelligenze che per il momento possono essere a servizio del nostro territorio, non so quanti di essi decideranno di rimanere, ma nel perdurare di questa situazione:
- Quali prospettive si aprono perché possano considerare l’ipotesi di non abbandonare più la loro terrà?
- Quali occasioni di crescita possiamo loro offrire nel tempo libero dagli impegni dello studio?
c. Infine, non perché meno importanti, tanti lavoratori si ritrovano a casa per la sospensione delle attività lavorative, molti di loro, forse, alla riapertura non saranno ancora disoccupati e a causa dell’età sarà difficile essere reimpiegati.
Le diverse misure di sostegno messe in campo non bastano a fronteggiare le esigenze delle famiglie e spesso questo disagio sfocia nell’aumento del gioco di azzardo, dell’abuso di alcol e nella depressione.
- Quali strutture abbiamo sul nostro territorio che accompagnano gli adulti nel reinserimento lavorativo
- Che cosa possiamo fare perché il disagio sociale causato dalla disoccupazione non sfoci in scelte ancora più gravi e drastiche?
2. Il Sinodo diocesano.
Cari Sindaci, camminano insieme.
Il Sinodo è un forte momento ecclesiale che vedrà coinvolte tutte le componenti della nostra Chiesa Cefaludense nella preparazione, formazione e discussione di tematiche fondamentali per la crescita e il futuro di tutto il Popolo santo di Dio:
- La sinodalità e la partecipazione alla vita ecclesiale. Le Zone Pastorali e le Unità di Pastorale Sinodale.
- Il percorso di catechesi in preparazione ai Sacramenti dell’Iniziazione cristiana.
- Cammini di evangelizzazione della pietà popolare.
Saranno anni in cui mi metterò in ascolto con i sinodali di ogni uomo e donna di buona volontà che vorranno dare il proprio contributo. Ascolterò e incontrerò anche voi perché, in reciproca collaborazione e nel rispetto dei ruoli, si possa aiutare il nostro Popolo a vivere all’insegna dell’essenziale e senza travisarne il senso ogni momento di festa che vede l’incontro della società civile e religiosa.
Spero e prego che con il Sinodo questo nostro camminare insieme sia più visibile e porti frutti abbondanti di comunione.
[1] Cfr. M. Cerruti, Sulla stessa barca, Ed. Qiqajon 2020.
[2] Cfr. A. Spadaro, Fratelli Tutti, una guida alla lettura, in La Civiltà Cattolica, Quaderno 4088, pag. 105 – 119, Anno 2020, Volume IV, 17 Ottobre 2020.
[3] A. Scialoja, «Per l'uomo è tempo di ritrovare se stesso», intervista al sociologo Edgar Morin, Avvenire, 15 aprile 2020.