Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Notte Santa di Natale
Basilica Cattedrale
Cefalù, 24 dicembre 2020
Carissimi,
il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha detto dei pastori che erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli.
All’inizio dell’Avvento vi ho detto che il Sinodo diocesano vuole essere la risposta concreta all’invito alla vigilanza perché il Signore non ci trovi addormentati ma operosi nel custodire e trasmettere la fede, nel conservare l’unità, nel vegliare per non permettere al ladro di rubarci la speranza, nel fare attenzione perché a nessuno dei piccoli del vangelo manchi il pane della carità. È un vigilare nella notte, nel buio, nel silenzio, nella prova.
Siamo chiamati a vigilare nella notte rappresentata dal tempo della pandemia, come una lunga notte. Vegliare impegna a diventare perspicaci, svegli nell’intuire ciò che accade. Acuti nel capire la direzione degli eventi, preparati a cogliere i segnali delle res novae. È un rimanere svegli come le sentinelle per captare ogni minimo segnale di presenza e avvertire in tempo della venuta del Signore.
Fare sinodo è vigilare con attenzione per cogliere i segni della presenza del Signore nel nostro tempo.
Come interpretare alla luce della fede la notte della pandemia? Quali segnali occorre leggere? Esiste una luce che illumini questa notte? C’è una parola che ha la forza di rimetterci in cammino?
Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Non temete (Μὴ φοβεῖσθε) è un’espressione che ricorre circa 80 volte in tutta la Sacra Scrittura e che puntualmente ci viene consegnata nei momenti critici e introduce un movimento, un percorso, un viaggio.
«Non temere, Abramo. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande» (Gn 15,1).
Il Signore lo invita a intraprendere un cammino che sa di assurdo: una voce che lo sprona a sradicarsi dalla sua patria, dalle radici della sua famiglia, per andare verso un paese che non conosce, futuro nuovo, un futuro diverso.
«Non temere Mosè, non temere e non ti scoraggiare»: è l’affermazione rassicurante che accompagna il dono della terra promessa (Dt 1,21; 3,2). Nelle battaglie e nelle situazioni di crisi, sia Mosè che la comunità israelitica dovranno credere nella presenza di Dio (Nm 21,34): «Siate forti, fatevi animo, non temete e non vi spaventate di loro, perché il Signore tuo Dio cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà».
Nel ministero dei profeti l’invito di Dio a non temere ritorna di frequente.
Questa parola, attraverso i profeti, è soprattutto rivolta a tutta la comunità di Israele, affinché non venga meno nelle difficoltà, ma sappia confidare nell’amore di Dio. La certezza che Dio «padre» è presente ed è difensore dei piccoli e dei poveri è motivo di fiducia e di speranza per l’intero popolo: come un padre sostiene il proprio figlio, così il Signore sostiene Israele (Ger 31,9). In definitiva «non temete» è una parola di speranza, di sostegno, di liberazione che schiude nella comunità dei credenti un’apertura di fronte al futuro.
I racconti evangelici si aprono e si concludono con l’espressione «non temere», a conferma che la rivelazione di Dio in Gesù Cristo è interpretata come compimento della storia di amore e di salvezza offerta a tutti gli uomini.
È l’angelo Gabriele a pronunciare il primo «non temere» a Zaccaria, nell’apparizione al tempio di Gerusalemme (Lc 1,13) e saranno gli stessi angeli a rassicurare le donne impaurite la mattina di Pasqua presso il sepolcro vuoto di Gesù (Mt 28,5.10; Mc 16,6). Il «non temere» caratterizza i racconti della nascita di Gesù, attraverso le figure di Giuseppe e di Maria. Nella loro risposta c’è il superamento della paura e la consegna della propria vita a Dio: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). L’annuncio natalizio che gli angeli rivolgono ai pastori è contrassegnato dall’invito a «non temere» perché è nato nel mondo il salvatore che è il Cristo-Signore (Lc 2,10-11).
Mentre la barca dei discepoli è in difficoltà, il Signore va loro incontro camminando sul mare e, alla sua vista, la reazione dei discepoli è di grande turbamento (Mt 14,26). Egli si rivela loro come il «signore del cosmo», che è venuto per salvare i suoi dall’abisso della morte: «Coraggio, sono io, non temete!» (Mc 6,50).
Ricordiamo quelle parole memorabili di Papa Francesco in un Piazza San Pietro deserta durante il lockdown:
L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai [1].
È questa la parola che il Signore ci ripete in questo Natale blindato: “Coraggio, sono venuto, non temete”.
Transeamus usque Bethleem.
Mettiamoci in cammino, dunque, senza paura. Transeamus usque Bethleem, dice il Vangelo. L’espressione latina transeamus, che nel mondo pastorale richiama l’esperienza della transumanza, significa: osare il passo che va oltre.
Festinantes: con sollecitudine si mettono in cammino. Si lasciano guidare dalla voce della luce che li avvolge e il loro cammino è ritmato dal canto del Gloria degli Angeli.
Transeamus usque Bethlehem: andiamo a Betlemme si sono detti l’un l’altro i pastori. In questa notte la Chiesa vuole che questa esortazione trovi spazio e risuoni nei nostri cuori. Ci invita a metterci in cammino, a passare dall’altra parte. Per trovare Dio è necessario proprio questo: passare, passare dall’altra parte, trovare un passaggio. Perché Dio è diverso da come siamo noi. Noi spesso viviamo senza guardare a Lui. Nel bambino però Dio, il suo modo di essere sono più che mai evidenti. Chi comincia a capirlo, cade in ginocchio [2].
Riconoscono il Segno, anzi diciamo meglio che si riconoscono nel segno. E’ degno di fede un Dio che nasce uomo, nascosto in una stalla. Mentre un uomo, Augusto, assume il titolo di Cesare per farsi adorare come Dio, e indice il censimento per dimostrare di essere il padrone del mondo. Dio si nasconde in una mangiatoia, si fa umile, si fa piccolo, si rende fragile. Questo sì che è un Dio credibile agli occhi degli umili, dei poveri, degli ultimi. Il segno di Dio è la sua Umiltà.
Auguri di un Santo Natale!
[1] Francesco, Benedizione Urbi et Orbi e momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020.
[2] J. Ratzinger, Omelia per la Messa di mezzanotte, 24 dicembre 1980.