Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Esequie di Mons. Calogero La Placa
Parrocchia Santi Apostoli Pietro e Paolo
Petralia Soprana, 25 gennaio 2021
Carissimi fratelli e sorelle,
la Diocesi di Cefalù si unisce alla preghiera e al dolore di tutti colo che sono stati vicini e hanno conosciuto e goduto del ministero del nostro carissimo Don Calogero La Placa.
Mi unisco al dolore delle sorelle, Maria, Giuseppina e Antonietta; e dei nipoti Giuseppe, Giacomo e Ermanno. Mi unisco alla preghiera Parrocchia Santi Apostoli Pietro e Paolo, rappresentata qui da molti di voi, e in modo particolare dal suo Parroco, Don Calogero Falcone. Mi unisco infine al dolore della città di Petralia Soprana, rappresentata dal suo Sindaco, Dr. Pietro Macaluso.
Inseriamo ora la nostra riflessione dentro la Parola che abbiamo ascoltato.
All'indomani della vittoria su Gorgia, Giuda Maccabeo, raccogliendo i morti della battaglia, scoprì, sotto gli abiti dei caduti, oggetti idolatrici provenienti dal saccheggio di Iamnia. In questa grave trasgressione della Legge, Giuda Maccabeo vide la causa della morte dei soldati stessi e pertanto: «fatta una colletta, per circa duemila dracme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, [...] compiendo così un’azione suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. [...] Egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti perché fossero assolti dal peccato» (2Mac 12,38-45).
Proprio questo crede la Chiesa quando incoraggia a pregare per i defunti e pensa al tempo della purificazione: tempo di attesa, di solidarietà, di aiuto reciproco, di sostegno nella fede e di richiamo reciproco a ciò che è stato esemplare.
Gli Atti degli Apostoli ci hanno trasmesso la Testimonianza di fede del Primo fra gli Apostoli, Pietro, fede nel mistero pasquale di Cristo. E ci ricorda in conclusione il mandato missionario di Cristo prima della sua Ascensione al cielo:
Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome (At 10, 40-43).
Il Vangelo di Giovanni ci dà questa verità rivelata nel Figlio: il Padre ha consegnato tutto nelle mani del Figlio suo, in questo tutto ci siamo noi. Tutto ciò che sta nelle mani del Figlio non si perde perché conoscerà, nel senso che sperimenterà, la risurrezione. Questa è in fatti la volontà del Padre: «Chiunque vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna e la risurrezione nell’ultimo giorno» (Gv 6, 40).
Sono questi i sentimenti che ci ispirano nel celebrare questa Eucaristia.
Dovremmo fare l’inventario dei desideri che i nostri defunti avevano e volevano realizzare e li dovremmo rileggere alla luce del Signore per purificarli ed esaltarli. Quindi dovremmo capire che quella è veramente l’eredità che ci lasciano da completare, valorizzare e sviluppare. Il vero modo di onorare i nostri defunti non sono i monumenti o i mazzi di fiori al cimitero, ma la preghiera e lo sviluppo delle loro speranze autentiche che hanno iniziato e non hanno condotto a termine. Ce le hanno lasciate per il nostro cammino e ci sono grati se sviluppiamo quello che ai loro occhi, nella luce del Signore, hanno ora capito veramente.
Don Calogero La Placa nacque il 18 giugno 1924, festa di San Calogero. E, cosa insolita, per questo motivo si chiamò Calogero come il padre.
La sua mamma era una santa donna, da tutti conosciuta come "a ‘za Ninuzza". Una famiglia credente composta da sei figli un maschio e cinque sorelle. Grazie agli aiuti della baronessa Teodora Pottino poté entrare nel Seminario di Cefalù ed essere ordinato sacerdote dal vescovo del tempo, Mons. Emiliano Cagnoni, assieme ad altri sette compagni il 27 marzo 1948.
La povertà era così grande che i suoi famigliari, in sua assenza, avevano rinunziato all’uso dello zucchero per circa due anni per riservarlo alla preparazione dei dolci, fatti in loco, per la sua ordinazione sacerdotale.
Mons. Cagnoni lo inviò a Soprana come vicario dell’Arciprete, Mons. Rosario D’Angelo, che morì nel 1951.
Durante il parrocato di Don Paolo Cerami, trascorse vari anni in Trentino dove alcuni sacerdoti ispirandosi alla scuola di Don Lorenzo Milani avevano messo in atto nuove didattiche pastorali che certamente lo affascinarono tanto che, ritornato in Sicilia, tentò di metterle in atto, incontrando, però, resistenze e contrapposizioni di personaggi in vista a motivo della novità delle sue idee e delle posizioni politiche, sia a Soprana sia a Raffo e San Giovanni ove era stato nominato parroco e dove faceva del bene.
Maturò pertanto di creare un ambiente autonomo per dar vita alla sua creatività e alle teorie che parallelamente si affermavano negli stati uniti in merito alle intelligenze multiple con un elevato quoziente intellettivo.
Nasceva così il “Villaggio dei superdotati” dove insegnarono diversi docenti anche stranieri e sacerdoti della nostra Diocesi tra cui Mons. Giuseppe Di Martino, Mons. Giovanni Silvestri e Mons. Liborio Asciutto, con metodologie didattiche che non prevedevano registri, interrogazioni, voti, programmi predefiniti, dovendo tutto partire principalmente dall'osservazione e dalla curiosità degli alunni i quali gestivano anche l'azienda agricola, fonte di esperienza e di autofinanziamento.
Azienda che grazie a lui prosperò, ma che, in seguito, ha dovuto dismettere perché costava più il foraggio che il latte.
Petralia Soprana negli anni ’70 grazie a lui divenne un paese conosciuto in tutto il mondo: tanti illustri uomini e specialisti di diverse discipline furono da lui invitati a visitare la cittadina. Nel gennaio del 1970 affrontò un viaggio in America per far conoscere il suo progetto e raccogliere fondi per mantenere il Villaggio di Cerasella.
Alla morte di Don Paolo Cerami, il nostro Don Calogero fu nominato da Mons. Emanuele Catarinicchia parroco di Petralia Soprana il 22 giugno 1980.
Costante fu lo sforzo di valorizzare il passato con le sue tradizioni e il presente con le innovazioni anche in campo liturgico, valorizzare le bellezze artistiche, paesaggistiche e le intelligenze che chiamava a collaborare con lui, ma che spesso si trovavano in difficoltà per concretizzare le idee originali e poetiche e comprendere i concetti di autonomia e libertà su cui insisteva continuamente.
Avvertendo che la spaccatura che si era aperta negli anni ‘50 tra giovani e adulti dell’Azione Cattolica non si era ancora sanata, auspicò l’unità dei parrocchiani attraverso la cosiddetta “campana dell’unità” collocata sul nuovo campanile. Una campana che, mi raccontava per telefono, nacque fessa.
Dinanzi alla proposta di un comitato di affidare ad un avvocato la causa di risarcimento per la mancata riuscita, Don Calogero rifiutò la proposta, asserendo che in vita sua non aveva mai denunziato alcuno, e che se si trovava indebitato era perché si era sempre fidato e non aveva voluto denunziare chi lo aveva frodato.
Così il comitato desistette dal proposito e con ulteriori spese la campana fu rifusa!
In una sua poesia, ritornano i rintocchi di questa campana:
Din, don, dan,
lieve, carezzevole, etereo
come soffio sfiorante corolle,
profumo in tiepida sera
suono dondolante
lontano, lontano,
eco di voce amica.
Ti arresta,
ti incanta,
ti scuote,
ti avvince.
Din, don, dan
ondulazioni concentriche,
battiti cadenzati di cuori,
per battere insieme
e sempre così,
come suono dondolante
lontano, lontano.
Dan, dan, dan.
Don Calogero affidò alla poesia le sue emozioni, i suoi ricordi, le sue intuizioni, insistendo sulla sacralità della persona umana e della libertà. In una mia visita a Palermo mi diede una cartella contenente alcuni dei suoi ricordi e, tra questi, una raccolta di poesie “Il caleidoscopio di emozioni”. Il caleidoscopio è uno strumento molto spesso catalogato come semplice “giocattolo”, ma che in realtà, al di là della funzione puramente ludica, unisce in sé un accurato studio sui fenomeni dell’ottica e un piacevole interesse nei confronti della scienza: proprio come desiderava comunicare il suo inventore, Sir David Brewster, uno scienziato che aveva come filosofia studiare divertendosi, cercando di apprezzare il piacere che può scaturire dalla ricerca scientifica senza alcuno scopo speculativo. L’idea del caleidoscopio mi sembra riflettere molto l’idea educativa del nostro carissimo Don Calogero.
Riporto alcune testimonianze. Dal diacono Santo La Placa ho raccolto l’ultimo desiderio di Don Calogero, espresso in tre cose: una rosa rossa, i cui petali lo avevano spronato ad ammirare l’armonica unità del creato, il canto del conducimi tu, composto dal suo compagno, il Can. Antonino Ortolano, e la sua preghiera “Dammi Signore”:
Dammi Signore,
l’armonia delle stelle,
la forza degli atomi,
lo splendore della luce
e io parlerò con Te.
Dammi, Signore,
la profondità dei mari,
l’altezza delle montagne,
la potenza del suono,
e io parlerò con Te
Dammi Signore,
il colore dei fiori,
la bellezza delle aurore,
la quiete dei tramonti
e io parlerò con te.
Dammi Signore,
il candore delle nevi,
la bontà dei fanciulli,
il calore di chi ama
e io parlerò con te.
Don Francesco Richiusa scrive:
Per chi lo ha conosciuto, non è difficile definire Don Calogero una persona fuori da ogni schema. Sempre originale e mai scontato, profondo e intuitivo, il carissimo Don Calogero ci lascia una grandissima eredità umana e sacerdotale della quale fare tesoro. Personalmente sono grato per avermi sempre accompagnato fin da bambino e soprattutto durante gli anni di seminario, credendo in me. Penso proprio che la mia vocazione per buona parte sia debitrice della sua testimonianza sacerdotale. Se dovessi sintetizzare la sua vita in due parole, sceglierei i termini “intelligenza” e “libertà”; entrambe penso che esprimano bene gli ideali per i quali ha sempre lottato con assoluta convinzione. Con lo sguardo sempre teso in avanti e allo stesso tempo rispettoso della tradizione, mi piace definire il suo operato pastorale di tipo profetico, spesso incompreso, ma certamente tutto da “riscoprire”. Sebbene ultranovantenne, Don Calogero è morto giovane, perché non ha mai perso il coraggio di sognare un mondo dove il confine tra l’ideale e il reale sembra quasi annullarsi.
«Manca il suo sorriso - ricorda Mons. Francesco Casamento - con il quale soleva esplodere alla fine di una sua monelleria».
Ho personalmente raccolto da Don Calogero il sogno di riscatto delle nostre terre, il desiderio di trattenere i giovani, veri talenti del nostro territorio, l’impegno di una scuola di formazione alla cittadinanza attiva del nostro popolo.
Carissimi, siamo dunque grati allora a Don Calogero La Placa per l’eredità spirituale, intellettuale e culturale che ci ha lasciato.
Il Signore lo accolga nella sua dimora di luce e di pace. Amen.