Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Celebrazione eucaristica e supplica al Santissimo Salvatore
Basilica Cattedrale
Cefalù, 22 marzo 2020
Carissimi figli,
carissimi fratelli e sorelle che ci seguite attraverso i mezzi di comunicazione sociale, approfitto per ringraziare quanti hanno reso possibile questa comunicazione tra la Cattedrale e le vostre case. Siamo a metà del cammino quaresimale e la celebrazione di questa domenica è un invito alla gioia perché la Pasqua è ormai vicina.
È chiamata, infatti, domenica in Laetare, nome preso dalla prima parola dell’antifona d’ingresso della Messa:
Rallegrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l’amate, riunitevi.
Esultate e gioite,
voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell’abbondanza
della vostra consolazione (cfr. Is 66,10-11).
Come vorrei che queste parole si potessero realizzare subito, domani, il giorno di Pasqua, ma ci mettiamo nella mani di Dio. Sono certo che ci rallegreremo anche noi: si avvicina infatti il tempo della consolazione.
L’immagine che suggerisce l’antifona è bellissima, è quella dei figli che succhieranno dal seno di una madre, nutriti amorevolmente del latte della consolazione. Abbiamo bisogno di questo "latte della consolazione"; invochiamola per il nostro tempo.
Anche in questa domenica l’evento è posto vicino all’acqua, presso la piscina di Siloe che l’Evangelista Giovanni traduce con la parola “inviato”. Noi sappiamo chi è l’Inviato.
Scrive Sant’Agostino: «Se il Cristo non fosse stato inviato, nessuno di noi sarebbe stato liberato dal male» [1].
Il Vangelo di Giovanni mostra qui uno dei sette segni operati da Gesù prima della sua Pasqua: un uomo cieco dalla nascita recupera la vista. Il brano odierno è da leggere in parallelo col Prologo di Giovanni (Gv 1-5; 9-10):
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta [...]
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Mi piace anzitutto sottolineare il primo verbo che viene usato in questo brano del Vangelo: «Il Signore vide un uomo cieco dalla nascita».
Ecco, carissimi, il Signore vede, non è cieco, non è sordo. Il Signore non sta in silenzio, non è muto. Il Signore ci sta parlando, ma forse noi siamo sordi. Il Signore non è cieco: siamo noi che non vediamo. Il vedere di Gesù è uno scrutare; è un penetrare, un accorgersi.
Il Signore si lascia toccare la vista e vede quello che altri non vedevano, perché costoro erano nell'indifferenza.
II cieco, non riceve soltanto il dono della vista fisica, ma soprattutto della luce e della fede che lo porta a vedere, riconoscere e adorare il Signore. Purtroppo la maggior parte di coloro che videro Gesù, non lo riconobbero come Dio.
Il Vangelo, se da un lato rivela il percorso per arrivare alla fede, dall’altra rivela la grande fatica del credere anche dinanzi ai segni chiari della presenza di Dio. Seguendo il brano evangelico abbiamo percorso, passo dopo passo, il cammino del cieco verso la luce della fede.
Sappiamo che nel neonato la vista si sviluppa piano piano nel corso dei primi otto mesi di vita. Cosi come un bambino, con i suoi occhi nuovi, l’uomo nato cieco vede colui che gli ha aperto gli occhi, e diventa a sua volta simbolo dell'uomo nuovo illuminato dal Cristo: un testimone della fede in Gesù.
I Cristiani venivano chiamati anticamente phothizomenoi, “illuminati”, proprio perché con la fede passavano dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della Verità.
Alla domanda dei discepoli sull’origine della cecità di quell'uomo, la risposta di Gesù contrasta un’antica credenza che in ogni disgrazia vi fosse il castigo di Dio per un peccato personale o della generazione precedente. Gesù risponde: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9,2).
Così, carissimi, stiamo attenti alle interpetazioni false di questo virus: non è stato mandato da Dio. Non è un castigo di Dio. Egli infatti è un padre e non può castigare i suoi figli, ma ci chiede di saper leggere questo segno; di saperlo vedere.
Nel segno del miracolo del cieco nato operato da Gesù si scopre la vera volontà di Dio nei confronti del male e anche della malattia.
«Nel Vangelo il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato, ma sempre sulla sofferenza della persona», è un'espressione del teologo Johannes Baptist Metz.
Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva ed ha inviato suo Figlio per contrastare il male, per riportare la vita, e anche nelle vicende drammatiche della malattia e della morte non smette di essere il Vivente che salva.
Questo tempo segnato dalla pandemia del COVID-19 è una prova per tutti, buoni e cattivi: sta a noi coglierla come occasione per riflettere, per convertirci, per cambiare la visione sulla realtà del mondo e della vita. Per cambiare paradigma.
Se la luce brilla per davvero, non può che rivelare la realtà, mostrarla, a chi non la vedeva prima (come il cieco nato) e ora può finalmente coglierla con occhi diversi, quelli della fede in Cristo.
Vorrei sottolineare un secondo tratto di questo Vangelo: l'Inviato invia.
Il comando di Gesù: «Va e lavati», richiede una fede obbediente. L’«aprire gli occhi ai ciechi» era già nell’Antico Testamento un gesto dai connotati messianici e Gesù si presenta come il "giorno", come la luce che rischiara le tenebre che si addensano sull’umanità.
Il nostro Cristo Pantocratore regge con la sinistra il libro dei Vangeli aperto sulla pagina di Giovanni (Gv 8,12) dove si legge, in greco e in latino: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non vagherà nelle tenebre ma avrà la luce della vita».
Gesù guarisce il cieco con un segno tangibile, fa del fango che è l’incontro tra la polvere della terra e la saliva di Gesù; essa è il segno della sua Parola, infatti senza la saliva non si riesce a parlare; la terra è il segno della realtà fragile dell’umanità, il nome Adamo deriva da adamah, la terra. Ma quando la terra, la materia, la fragile realtà umana, incontra la Parola di Dio allora l'Umanità s'illumina e, se malata e si lascia purificare, guarisce.
Vorrei sottolineare un terzo movimento: Gesù trovò quell'uomo guarito che era stato cacciato dalla sinagoga. Gesù lo trovò perché lo cercò. Dunque l’espulsione del testimone di Cristo dalla sinagoga consuma il peccato dei Giudei, ma prepara alla susseguente rivelazione di Gesù come "il Figlio dell’uomo". «"Credi tu nel Figlio dell’uomo?"», ossia credi nel Cristo, credi nel Messia? E la risposta straordinaria del cieco guarito è: «"Credo Signore"».
Abbiamo così appreso, passo dopo passo, che Gesù è profondamente uomo, è autenticamente profeta, è l’Inviato da Dio, il Messia e ora è veramente Dio, il Signore.
Carissimi, sappiamo tutti che Cristo in questo momento ci sta cercando perché ci vuole trovare. Ebbene è questa professione di fede che stamattina il Signore ci chiede: rispondiamo sicuri! La professione di fede con la bocca e col cuore e la prostrazione esprimono la convinzione che Dio è presente nella persona di Gesù.
Infine facciamo nostra la domanda dei farisei: «Siamo ciechi anche noi?». Ascoltiamo con umiltà la risposta di Gesù: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». La prima condizione per uscire dal peccato è avere coscienza di essere ciechi. Il monito rivolto ai farisei, diventa invito pressante per noi: apriamoci alla luce della rivelazione, partecipiamo con il cieco nato all’esperienza della luce, che viene da Gesù.
Carissimi figli, fratelli e sorelle,
in questi giorni di Quaresima siamo come immersi nelle tenebre, come se stessimo attraversando un lungo tunnel da dove non si percepisce l’uscita. È per noi consolante pregare con le parole del Salmo 22, detto del Buon Pastore:
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Attraversiamo il buio di questi giorni lasciandoci guidare dalla Parola luminosa del Salvatore. Essa è lampada ai nostri passi, luce sul nostro cammino.
Aspettiamo vigilanti nella notte con le lampade accese della fede, l’aurora del giorno di Pasqua. E se ci accorgiamo che le nostre lampade della speranza si spengono, facciamo scorta dell’olio della preghiera e dell’ascolto della Parola. «Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre».
Concludo con il monito dell’Apostolo rivolto ad ognuno: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».
[1] Agostino, Omelia 44.