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Omelie del Vescovo (09.04.2020)

09/04/2020 20:29:00

Segreteria Vescovile

#Omelie del Vescovo,

Omelie del Vescovo (09.04.2020)

Messa in Coena Domini

Omelia del Vescovo di Cefalù

S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante

 

Messa in Coena Domini

 

Basilica Cattedrale

Cefalù, 09 aprile 2020

 

 

Celebriamo oggi il primo giorno della Pasqua.

Voi sapete che la Pasqua comincia oggi e sono tre giorni come se fossero un unico giorno; è proprio l’unico giorno della Pasqua del Signore. Il primo giorno inizia con il racconto dell’ultima cena di Gesù e si concluderà il mattino di Pasqua, quando i discepoli troveranno la tomba vuota.

La prima lettura che abbiamo ascoltato ci racconta delle antiche origini della Pasqua. Le origini della Pasqua le possiamo trovare in una terra di sofferenza e di schiavitù.

Il racconto della prima Pasqua dell’antica Alleanza si svolge all’interno delle case degli Ebrei durante la cosiddetta “decima piaga d’Egitto” che consisteva nella morte di tutti i primogeniti, degli uomini e degli animali. Il Signore libera il suo popolo da questo flagello segnando le case degli Ebrei con il sangue dell’agnello. Dove il Signore trovava le porte segnate Egli passava oltre. Possiamo quindi dire che quest’antica Pasqua rappresenta il passaggio di Dio fra le case dei suoi figli.

È strano come in questo 2020 la Pasqua sarà celebrata nelle case dei suoi figli e noi speriamo che il Signore si accorga delle case dei suoi figli, di tutta l’umanità, e passi oltre nel senso che protegga le case degli uomini, le nostre famiglie, dalla minaccia della morte che viene dal virus chiamato COVID-19.

Questa sera tutte le famiglie della diocesi, lo spero, celebreranno la Pasqua nelle loro case con dei segni semplici ma, certamente, validi, per dire “abbiamo celebrato la Pasqua”. Il primo segno sarà proprio la lavanda dei piedi: il capofamiglia, il genitore, laverà i piedi a tutti i membri della famiglia, ripetendo quel gesto di Gesù che significa il gesto d’amore supremo del Signore, è un gesto di servizio, è il servizio dell’amore. Poi insieme in famiglia, attorno alla mensa, ci sarà il rendimento di grazie al Signore, ricordando il memoriale che Paolo oggi ci ha trasmesso. Infine, tutte le nostre famiglie faranno propria la preghiera sacerdotale di Gesù per l’unità del mondo intero, per l’unità dei cristiani.

I gesti dell’ultima cena di Gesù così come ce li ha trasmessi il racconto di Paolo che rappresenta il più antico documento, addirittura più antico degli stessi Vangeli, sono dei gesti eloquenti. Innanzitutto la nota, che poi è comune al Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato, “nella notte in cui veniva tradito”, questi eventi si svolgono in uno scenario, sotto certi aspetti, drammatico, il tradimento di Giuda. Ma noi dobbiamo approfondire molto la parola “nella notte in cui fu tradito” che, in fondo, significa ‘consegnato’. Dietro questo “tradito” dobbiamo leggere la via della salvezza; di fatti mentre si fa strada il male cominciando dal tradimento dell’amico, Giuda, Dio trasforma questa strada del male in storia della salvezza.

Quello che noi, questa sera, vogliamo chiedere al Signore è che il Signore trasformi la strada, il percorso, di questo male che affligge in questo momento l’umanità, il Signore nella sua Onnipotenza la trasformi in storia di salvezza. L’altra parola che risalta nel racconto dell’apostolo Paolo è “prese”.

Giovanni la interpreta come l’accoglienza di tutto ciò che il Padre ha dato nelle mani del Figlio. Sì, Gesù prese nelle sue mani la fragilità dell’umanità, della carne umana, la assunse su di sé. E quella fragilità presa dal figlio di Dio, offerta, diventa nutrimento, pane di vita. “Così prese il calice”, il calice del dolore del mondo, Gesù lo assunse. E così il calice del dolore del mondo preso dal Figlio diventa la Nuova Alleanza e perciò diventa bevanda di salvezza. L’altra parola è “rese grazie” da cui viene la parola Eucaristia. Tutto ciò che il Figlio assume, prende su di sé, lo offre, lo consegna al Padre. E lo consegna con la disponibilità della sua vita. Sì, il Signore spezzò la sua vita. Il Signore diede la sua vita in riscatto per molti, per la salvezza del mondo; spezzò il suo corpo, versò il suo sangue e lo condivise perché chiunque riceve il corpo ed il sangue di Cristo riceve la vita.

È questo quindi il significato profondo della vita di Gesù, in questi gesti c’è tutta la vita di Gesù, sintetizzata nel segno offerto alla vigilia della sua passione.

Questa successione rivela che l’Eucaristia, questo rendere grazie, è condivisione fraterna alla stessa mensa ma allo stesso tempo è azione sacrificale, è offerta, è rendimento di grazie, è preghiera, è il vero culto reso a Dio. Gesù, con l’Eucaristia, ci lascia il suo comandamento nuovo, riassunto dal segno della lavanda dei piedi. Nella misura in cui l’Eucaristia è comunione allo stesso corpo ed allo stesso sangue l’accento viene posto sulla condivisione della stessa mensa, cioè la mensa dell’amore, della carità, dove ognuno riceve il corpo ed il sangue di Cristo.

Nella frazione, nello spezzare il pane c’è quindi questa duplice dimensione: l’offrire, Gesù che si offre e nello stesso momento c’è il condividere. Il Vangelo di Giovanni questo gesto ce lo ha presentato al capitolo 6° nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Ora, dopo la cena, Giovanni riassume tutto nel gesto di lavare i piedi.

L’ultima parola che ci tramanda l’apostolo Paolo è la parola “fate questo in memoria di me”. Mi piace questo verbo, il verbo ‘fare’, perché in questo verbo c’è tutta la concretezza dell’amore. Siamo facitori della sua parola, del suo comandamento nuovo e in tal modo si fa memoria, ossia si rende presente, vivo nello spirito, si fa memoriale del sacrificio di Cristo offerto per noi. In quel fate quindi non c’è solo un momento celebrativo ma mangiando un solo pane e bevendo da un solo calice noi annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la Sua risurrezione nell’attesa della Sua venuta.

Nel video-incontro tenuto stamani con i sacerdoti, riferendomi alla necessità di celebrare l’Eucaristia senza il Popolo, sarebbe opportuno specificare che la celebrazione avviene “senza il popolo perché impedito”.

Credo infatti che il Popolo non è assente, ma è semplicemente impedito sebbene sia presente nel desiderio di esserci. Io spero che quanti in questo momento ci stanno seguendo attraverso i mezzi di comunicazione sociale esprimano in questo modo il desiderio di esserci e di partecipare, ed esprimano, allo stesso tempo, la tensione a ritornare quanto prima ad essere presenti alle celebrazioni comunitarie. Nel “fate in memoria di me” vedo concretamente realizzato il comandamento dell’amore da parte di tutti i volontari delle nostre Caritas, le nostre associazioni di volontariato che stanno in prima linea nel distribuire il pane, nel vero senso del termine, i segni della carità della nostra chiesa diocesana. Raccomando, ai volontari, di svolgere questo servizio con gioia e molta discrezione, avendo cura di rispettare le norme igieniche e le misure di sicurezza per il rispetto della salute di chi viene servito, degli stessi volontari e dei loro familiari. Il vostro fare, carissimi volontari, è nella dimensione dell’amore. “Fate questo in memoria di me”: questa è la vera memoria concreta di Cristo, in questo tempo di emergenza.

E poi, certamente, in questo “fate in memoria di me” vedo tutti coloro che si spendono, anche a costo di rischiare la vita, per curare le ferite dei nostri ammalati, e qui mi riferisco ai medici ed al personale sanitario di tutti i nostri ospedali; è il gesto concreto di lavare i piedi di cui ci ha parlato Gesù, è così che si concretizza il Vangelo.

Ringrazio quindi tutte queste categorie perché veramente li reputo facitori del Vangelo di Cristo e così che si realizza l’amore che Gesù ci ha consegnato nel suo testamento. Auguro a tutti di seguire con una fede profonda interiore questi tre giorni e sono sicuro che il Signore, come ha liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto dopo averlo fatto passare attraverso la prova del deserto, libererà anche noi, aprirà le nostre case e ci darà ingresso alla terra promessa.

Seguiamo, in questi giorni, in modo particolare Gesù che è entrato a Gerusalemme, realizza la Pasqua e ci porta il dono della vita, il dono della risurrezione. Il giorno di Pasqua in tutte le chiese suoneremo le campane per dire che l’ultima parola ce l’ha sempre il Signore. Il Signore vince, il Signore trionfa.  

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