Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Messa Crismale
Basilica Cattedrale
Cefalù, 28 maggio 2020
Carissimi fratelli e sorelle,
quest’anno, a causa della pandemia, celebriamo la Messa Crismale in prossimità della Pentecoste e ci aiuta a riscoprire la potenza del Signore Risorto che, con il dono dello Spirito, ricrea ogni cosa e introduce nella vita piena di Dio.
La colomba di Noè.
Dopo la prima fase di contrasto e prevenzione del virus Covid-19, chiamata del lockdown, oggi celebriamo questa Santa Messa in Basilica Cattedrale.
Anche noi abbiamo fatto l’esperienza dell’attesa come il patriarca Noè attese nell’arca il ritorno della colomba; egli attese un segno per capire se le acque del diluvio universale si fossero ritirate. Così è scritto nel libro della Genesi: «la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo» (Gen 8,11).
Attendiamo anche noi una tenera foglia d’ulivo; un segno visibile nella certa speranza che presto verremo liberati dalla minaccia universale del contagio. La speranza che le nostre comunità possano presto riprendere a programmare la vita sociale, ecclesiale e liturgica in modo rinnovato.
La nostra Chiesa Cattedrale questa sera rappresenta la Sposa di Cristo, la vite feconda di figli che come virgulti d’ulivo fanno corona alla mensa eucaristica (cfr. Sal 128).
La peculiarità rituale dell’odierna celebrazione è data dalla benedizione degli oli e dalla consacrazione del sacro Crisma.
Questa sera la pianta dell’ulivo mostra tutto il suo splendore.
L’ulivo del Mare Nostrum.
L'ulivo è una pianta centrale nella storia delle civiltà che si affacciano sul bacino del Mare Nostrum, L’olio era anticamente considerato l’oro del Mediterraneo e pertanto ha assunto un forte valore simbolico.
L'ulivo è una pianta fondamentale per i popoli del Mediterraneo; la cui presenza millenaria è stata in grado di plasmare il paesaggio, la cultura e le tradizioni.
Aurelio Rigoli, studioso palermitano di tradizioni popolari, ha evidenziato una traccia della dominazione araba nel nostro dialetto proprio nel riferirsi alle piante di ulivo allorché gli antichi contadini erano soliti chiamare saracinu o saracinescu la pianta di ulivo più grande e robusta. A Cefalù, le olive venivano raccolte in una celletta scavata nel terreno e dalle pareti intonacate, detta zarbu.
Non dimentichiamo poi che alcuni feudi delle nostre Madonie vantano ancora oggi una massiccia presenza di piante d’ulivo secolari; la raccolta delle olive è stata in passato forte momento di aggregazione e anche un supporto al sostegno economico di tante famiglie, quelle dei nostri contadini.
Anche “l’olio canta”, recita una bella poesia di Pablo Neruda:
Olio, nella nostra voce, nel nostro coro,
con intima mitezza possente
tu canti: sei lingua castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono, olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo [1].
Spesso però la diletta terra del Mediterraneo, baciata del sole e ombreggiata dai rami degli ulivi, è diventata amara a causa soprattutto della forte emigrazione.
Molte purtroppo le terre abbandonate, cantava Domenico Modugno:
Sole alla valle e sole alla collina
Per le campagne non c'è più nessuno
Addio, addio, amore
Io vado via
Amara terra mia
Amara e bella…
Fra gli uliveti è nata già la luna
Un bimbo piange e allatta un seno magro
Addio, addio, amore
Io vado via
Amara terra mia
Amara e bella.
Possiamo ora tracciare una rotta mediterranea che accomuna diversi paesi coltivatori dell’ulivo e, allo stesso tempo, seguirne una scia di migranti. Una rotta che possa unire diversi popoli nel segno della collaborazione e della pace. Papa Francesco, durante l’incontro con i Vescovi del Mediterraneo nel febbraio scorso, ha richiamato l’immagine cara a Giorgio La Pira che lo ha definito “il grande lago di Tiberiade”, ed ha esortato i vescovi ad attenzionare in particolar modo il fenomeno migratorio: «Tra coloro che nell’area del Mediterraneo più faticano, vi sono quanti fuggono dalla guerra o lasciano la loro terra in cerca di una vita degna dell’uomo. Il numero di questi fratelli – costretti ad abbandonare affetti e patria e ad esporsi a condizioni di estrema precarietà – è andato aumentando a causa dell’incremento dei conflitti e delle drammatiche condizioni climatiche e ambientali di zone sempre più ampie. È facile prevedere che tale fenomeno, con le sue dinamiche epocali, segnerà la regione mediterranea, per cui gli Stati e le stesse comunità religiose non possono farsi trovare impreparati. Sono interessati i Paesi attraversati dai flussi migratori e quelli di destinazione finale, ma lo sono anche i Governi e le Chiese degli Stati di provenienza dei migranti, che con la partenza di tanti giovani vedono depauperarsi il loro futuro»[2].
1. Il Popolo dell’ulivo.
Data la diffusione dell’ulivo nella terra di Canaan, è facile intuire come esso sia diventato facilmente metafora del popolo di Israele.
Descrivendo la bellezza della terra di Canaan che il Signore promette di dare al suo popolo, il narratore del Deuteronomio cita l’ulivo tra le delizie di quel territorio: «Terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele; terra dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla» (Dt 8, 8-9). Sembra di leggere la descrizione della nostra amata terra di Sicilia.
L’ulivo nella Bibbia è concepito come simbolo di bellezza, fecondità ed esuberanza; immagine di Israele come la vite.
Il profeta Geremia vi ricorre per annunciare il giudizio causato dal peccato del popolo: «Ulivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto. Con grande strepito sono date al fuoco le sue foglie, e i suoi rami sono bruciati» (Ger 11,16). Ma il profeta Osea annuncia la promessa che, se Israele risponderà all’appello divino con la conversione, ritroverà la forza e «si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’ulivo e la fragranza del Libano» (Os, 14, 7).
2. I due ulivi accanto al candelabro delle sette lampade.
Il profeta Zaccaria, rivolgendosi agli Ebrei rientrati dall'esilio per incoraggiarli nella riedificazione del tempio e nella ricostruzione di una comunità politica e religiosa fedele alla legge del Signore, racconta della visione di un candelabro con un ulivo a destra ed uno a sinistra: «L’angelo mi disse: “Che cosa vedi?” Risposi: “Vedo un candelabro tutto d’oro; in cima ha una coppa con sette lucerne e sette beccucci per ognuna delle lucerne. Due ulivi gli stanno vicino, uno a destra della coppa e uno a sinistra”» (cfr. Zc 4,1-14).
Tale visione rimanda alla consacrazione sacerdotale di Giosuè, sommo sacerdote, e a quella regale di Zorobabele, discendente del Re Davide, i due “figli dell’olio nuovo”, in un momento cruciale della storia post-esilica di Israele. È il momento della ricostruzione simboleggiata dalla ricostruzione del secondo tempio (cfr. Zc 6,9-13).
Cristo assumerà la triplice unzione, regale, profetica e sacerdotale, e, col dono dello Spirito, anche tutto il popolo dei battezzati diventerà popolo sacerdotale, profetico e regale. Siamo tutti figli dell’olio nuovo, l’olio dello Spirito Santo.
Il Getsemani.
L’ulivo è stato il grande e muto testimone della preghiera di Gesù nell’orto del Getsemani, l’orto degli ulivi, il cui nome gath shemanim significa precisamente “torchio d'olio” quasi a indicare il luogo dove Gesù, vero ulivo verdeggiante, lasciandosi spremere come le olive, dona con la risurrezione l’olio nuovo dello Spirito, della pace, della benedizione e della vita.
La tradizione ebraica lo conosce anche col nome di Monte dell’Unzione, perché con l’olio ottenuto dai suoi ulivi venivano unti i re e i sommi sacerdoti. Davide Maria Turoldo così canta l’orto degli ulivi nella poesia Albero dall'ombra lieve:
Albero di Cristo: “Anche gli olivi piangevano
quella Notte, e le pietre erano più pallide
e immobili, l'aria tremava tra ramo
e ramo: e Lui, tutto un sudore di sangue
- la bocca senza voce - mentre abbracciava la terra”.
Ma gli stessi olivi lo vedranno salire in alto
e sparire nel sole: gli stessi olivi
dai quali i fanciulli avevan strappato i rami
per corrergli incontro: una selva di rami
e di voci a cantargli d'allora l'osanna e alleluia.
3. Il sacro Crisma.
Tra poco porteremo l’olio, frutto dell’ulivo e del lavoro dell’uomo, per essere segno dell’unzione dello Spirito Santo così come il frutto della vite e il seme del grano renderanno presente il sacrificio di Cristo.
Carissimi sacerdoti,
come virgulti d’ulivo questa sera noi siamo attorno alla mensa dello Sposo che è Cristo, l’Unto per eccellenza direttamente dallo Spirito, simile dal simile. La parola ebraica maṧiah-messia corrisponde al termine greco cristoς, che a sua volta è un aggettivo verbale derivante dal verbo criw, che significa ungere.
Anche noi siamo stati unti, consacrati, catturati dallo Spirito e trasformati in dono per l’Umanità. Tra poco sarete chiamati, attraverso il rinnovo delle promesse sacerdotali, a ravvivare il dono di Dio che è in voi mediante l’imposizione delle mani (cfr. 2Tm 1,6). Cantiamo quindi col salmista:
Ecco quanto è buono e quanto è soave
che i fratelli vivano insieme!
È come olio profumato sul capo,
che scende sulla barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste (Sal 133,2).
Possiamo gioire col Pastore delle nostre anime cantando:
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca (Sal 23,5).
Le mani sulla testa e l’olio sulle mani hanno segnato il passaggio più importante della nostra vita dopo il battesimo.
Il gesto dell’imposizione delle mani del Vescovo sulla testa significa che lo Spirito ha preso possesso di quella parte del corpo dove si intrecciano anima e corpo; dove l’uomo esprime il massimo della sua apertura, la mente, gli occhi, gli orecchi, il naso e la bocca. Tutto deve appartenere al Signore: i pensieri, i sentimenti, i sensi come l’udire, il vedere, il parlare; tutto deve stare sotto il tetto dello Spirito, protetto dal suo calore e illuminato dalla sua luce e al ritmo del suo respiro.
Al momento dell’ordinazione presbiterale, le mani vengono consegnate all’Unto, il Cristo. Così diventano le mani che pregano e benedicono; mani che recano la remissione dei peccati, che portano il Corpo di Cristo; mani che toccano la carne dei poveri e dei sofferenti.
Cristo, risorto e asceso al Cielo, ci ha promesso il dono dello Spirito Santo e questa sera lo Spirito viene per benedire e consacrare il frutto dell’ulivo.
Gli oli e il Crisma che benediciamo in questa Eucaristia ci ricordano il sacerdozio comune, il sacerdozio ministeriale, il conforto e la liberazione nella malattia grave e di fronte alla morte. Quest’anno l’accoglienza deli oli nelle parrocchie avverrà nel giorno di Pentecoste. Da domani i diaconi consegneranno ai parroci nelle rispettive sedi gli oli confezionati in piccoli contenitori insieme a una lucerna, per invocare lo Spirito Santo affinché, come olio profumato, penetri nell’intimo del nostro cuore, guarisca le nostre infermità e faccia risplendere di nuova luce la fede di tutti i battezzati e cresimati e il servizio di tutti i ministri consacrati.
InvochiamoLo fin d’ora con le parole di Simeone il Nuovo Teologo (949-1022):
Vieni, luce vera.
Vieni vita eterna.
Vieni, mistero nascosto.
Vieni tesoro senza nome.
Vieni realtà ineffabile.
Vieni persona inesprimibile.
Vieni, felicità senza fine.
Vieni, luce senza tramonto.
Vieni, risveglio di chi dorme.
Vieni, risurrezione dei morti [3].
Amen.
[1] Da P. Neruda, Ode al vino e altre odi elementari, Passigli, 2002.
[2] Francesco, Incontro con i Vescovi del Mediterraneo, Bari, 23 febbraio 2020.
[3] Da La preghiera dei cristiani, Milano 2000, p 395.