Discorsi e Interventi del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Una bussola per navigare in rete: una riflessione sul cyberspazio
Palazzo Vescovile
Cefalù, 05 luglio 2020
Non sono un nativo digitale: con i miei 68 anni appartengo alla generazione che ha iniziato a scrivere vocali e consonanti su nere lavagne di ardesia con pezzetti di gesso.
I nostri tablet erano dei quaderni a righe e a quadri con copertina nera e bordo rosso. Agli agilissimi polpastrelli e alle magiche tastiere si sostituivano pollice e indice che spesso si ritrovavano a tenere penna e calamaio e matite che sembravano mozziconi di sigarette: si dovevano usare fino alla fine. Anagraficamente non potrò mai essere un nativo digitale, tuttavia mi sono impegnato a conoscere, capire, entrare in relazione con il web. Sono un cittadino della Rete, l’ho abitata quando ancora si parlava semplicemente di un villaggio globale.
Osservo quotidianamente con stupore le opportunità e, nondimeno, con preoccupazione i rischi dell’inarrestabile rivoluzione digitale.
Sono un figlio del Concilio Vaticano II, quel Concilio che nel lontano 1963 ci donò Inter Mirifica, un decreto sugli strumenti di comunicazione sociale.
Si rimane anche oggi costantemente folgorati dal profetico contenuto del documento, a iniziare dalle sue prime battute. In Inter Mirifica i mezzi di comunicazione sociale sono definiti “meravigliose invenzioni tecniche” e veramente meravigliose sono state le mie esperienze pastorali legate a queste invenzioni. Ripercorro la galleria dei miei ricordi romani.
Rivedo l’uso del rumorosissimo ciclostile e il suo sistema di stampa meccanico che ci consentiva di comunicare con facilità notizie e idee sul La Goccia, un settimanale parrocchiale di pochissime pagine in bianco e nero che stava sulle tavole di tutte le famiglie. Quel rudimentale bollettino mi fece subito comprendere la dimensione sociale della comunicazione.
La parrocchia non aveva attivato soltanto un semplice mezzo di diffusione che favoriva una transazione di informazioni e di notizie. La Goccia nel tempo si è trasformata in una realtà relazionale. Ha creato comunità. Ha rafforzato i legami tra le persone, rompendo addirittura gli argini del perimetro parrocchiale. Questa uscita dai confini territoriali della parrocchia l’ho poi assaporata e sperimentata con la creazione del primo sito web.
Così, senza accorgercene, quella “goccia” - insieme al sito www.sanromano.org - divenne improvvisamente un “oceano”.
Compresi allora che eravamo contemporaneamente attori e spettatori di una rivoluzione prima di tutto antropologica, vissuta in diretta da tutti noi. Una diretta non-stop senza fermate e scali intermedi che riesce a fagocitare passeggeri da ogni angolo della terra. I canali di questa eterna diretta erano e sono i nostri usatissimi social media. Con essi il mondo è sempre in diretta con noi e noi lo siamo con il mondo intero.
Stando all’Unesco, nel mondo si parlano ben 6.000 lingue. Il mondo della Rete e la vita online hanno allestito una lingua propria: quella di Facebook, Instagram, Twitter, WhatsApp, YouTube per citare i più celebri. Mi sono convinto senza tentennamenti che anche un vescovo deve conoscere e sapere parlare questa lingua, altrimenti la sua Chiesa corre il rischio di diventare muta e sorda. Ecco perché, appena sbarcato a Cefalù come vostro Pastore, ho attivato gradualmente tutti i canali social con l’unico obiettivo di raggiungere tutti. Il mondo della Rete è il luogo che mi permette, ricordando l’Apostolo Paolo: "Di farmi tutto a tutti, pur di portare a Cristo il maggior numero di persone" (Cfr 1Cor 9,19.23).
Papa Francesco, nel Messaggio per la XLVIII Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, ci ha ricordato che: «Aprire le porte delle Chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri in qualsiasi condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempo e uscire incontro a tutti».
Per essere Chiesa in uscita che dal centro riesce a guardare le periferie bisogna stare nella Rete. Al cammino di maturità pastorale ho affiancato quello di crescita digitale.
Una crescita anche abitativa vissuta non passivamente, ma con occhi e mente protesi a vedere, discernere e agire.
Continuo a leggere e ad abitare l’ambiente digitale scegliendo una sorta di collocazione provvisoria.
Ho scelto di dimorarvi all’interno di un apposito laboratorio di osservazione e di studio. Sulla trave del suo portone d’ingresso vi ho inciso questa scritta: “Non saranno i media a cambiarmi, cambiarci e cambiare la nostra Chiesa, ma sarò io stesso a intervenire su di essi e ad avvalermi del loro supporto”. Un imperativo categorico dal quale non intendo discostarmi perché mi dà grande sicurezza.
Nel cyberspazio il passaggio dal laboratorio al labirinto è come lo sbattere d’ali di una mosca. Impercettibile.
Un labirinto dove lo spazio pubblico e il privato riescono a ibridarsi. L’intimità può divenire pubblicità. Il di dentro trasborda nel di fuori. Metamorfosi non prevedibili. Il parlare, il narrare, il dialogare nel mondo online è definito “pubblicare”.
Altri usano un’espressione più a effetto: “mettere in piazza”.
Da questo laboratorio dal quale cerco di osservare i volti di alcuni dei tanti interlocutori ho sperimentato il valore di alcune virtù che chiamerei anche digitali.
Da anni si fa un gran parlare di strategie di protezione, soprattutto per bambini e adolescenti, per arginare alcuni devastanti pericoli del mondo della rete, per evitare che Internet sia Infer.net.
Una sorta di “corsa agli armamenti” per evitare guerre virtuali che poi sono letali anche per i corpi. Occorre tirare al largo una “rete educativa” costruita e intrecciata con i fili dell’autoregolazione, della saggezza, del buonsenso, del dono, della libertà per educarci alle virtù digitali.
Molti constatano come Facebook stia diventando terreno fertile sul quale attecchiscono gramigne infestanti: il brusio del pettegolezzo, la spasmodica ricerca del consenso immediato che esaspera un attualismo e un presentismo dimentichi della cura della relazione personale, dell’interazione dialogante e rispettosa. Spesso diventa strada maestra che conduce alla denigrazione dell'altro su pubblica piazza, a chiamare sodali e organizzare cordate per scagliare pietre calunniose su un presunto avversario da lapidare.
Si percorrono sentieri multimediali che instillano odio, divisioni, che minano la credibilità dell'altro il cui silenzio è il rispetto di una posizione espressa e non un implicito consenso.
È la scelta di chi è certo che la Verità ha una sua forza, nel rispetto massimo delle idee altrui e della libertà di giudizio, e che emerge da sé. Come vescovo penso che la strada da percorrere insieme sia quella di un confronto diretto, pacato, rispettoso e quindi elegante, un incrocio di sguardi che resta la più alta forma di dialogo.
Resto sempre disponibile ad aprire le porte dell'episcopio e del mio cuore a ogni figlio e fratello che esprima il desiderio sincero di confrontarsi con me per essere insieme operatori di pace.