Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Santissimo Salvatore
Sagrato della Basilica Cattedrale
Cefalù, 06 agosto 2020
Carissimi fratelli e sorelle,
vi saluto tutti con affetto, soprattutto in questo periodo di prova che è il tempo della pandemia durante il quale molti di voi hanno fatto e stanno facendo tanti sacrifici.
Saluto in particolare il Signor Sindaco, il Consiglio comunale e il suo Presidente, tutte le Autorità civili e militari, ma in modo particolare vorrei salutare i commercianti di questa piazza che oggi, attraverso un piccolo sacrificio, hanno reso possibile celebrare questa Eucaristia all'aperto; il Signore sa come compensarvi e il vostro è un segno di partecipazione affettuosa e soprattutto di fede alla comunità ecclesiale, ma anche a quella civile che celebra oggi la festa del Salvatore: festa della Trasfigurazione di Nostro Signore che segna nella nostra Diocesi la conclusione, ma allo stesso tempo l’apertura verso il nuovo anno pastorale.
Se da una parte essa raccoglie i frutti dell’anno pastorale ormai concluso che ha vissuto la fatica della ricerca dell’essenziale nel pieno della pandemia, dall’altra dà inizio a un nuovo percorso orientato verso un cammino sinodale. Prima di riprendere il cammino, saliamo al monte del Signore per ricevere la luce taborica della rivelazione del Cristo Salvatore.
Chiediamo luce al mistero della Trasfigurazione per affrontare con lungimiranza i nuovi orizzonti della sinodalità.
Anche Cefalù ha il suo Tabor che è la Rocca, mèta di tanti turisti che amano ammirare dall’alto la nostra città; da lassù la vista può spaziare su un grande panorama; sotto, la città sdraiata sul mare, con i suoi quartieri, il complesso della Basilica Cattedrale, il mare che lambisce una spiaggia arcuata e il porto. Lassù i rumori arrivano attutiti dalla distanza, eppure la città con la sua vita sta lì, tanto vicina da sentire il bisogno di appartarsi, di innalzarsi e nello stesso tempo la necessità di amarla. Sì, Cefalù va amata tanto perchè merita di essere amata.
1. Salire in alto per guardarsi dentro.
Anche noi stasera vogliamo salire con Gesù e lasciarci leggere dalle parole del Vangelo che ci chiedono: dove sei? A che punto stai? Dove sei orientato? La festa della Trasfigurazione ci ricorda che in giorni di grande smarrimento, dinanzi alla prospettiva della croce, la paura ha portato anche Gesù in alto sul monte Tabor insieme ad alcuni dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per ritrovare il filo conduttore della sua missione e quella dei suoi. È il fascino del salire in alto e guardare dentro il proprio cammino di vita.
Forse finora i discepoli avevano vissuto consapevolmente solo frammenti di vita, non un'unità di insieme. Mi piace ricordare l'analisi di un filosofo contemporaneo, Roberto Mancini, che parla di sette separazioni che noi viviamo nella vita che io ho sintetizzato in cinque. Anche noi troviamo difficile cogliere il filo unificatore del tutto perché viviamo spesso in un sistema di separazioni [1]:
1. La separazione da se stessi: ci sentiamo scissi, dal corpo, dalla coscienza, dai sentimenti, dalla nostra storia, e nella scissione interiore siamo più facilmente esposti e disponibili al male.
2. La separazione dall’altro che percepiamo come estraneo, inferiore, clandestino nei confronti dell’io, addirittura nemico.
3. La separazione dalla natura, percepita solo come ambiente, non come madre terra di tutti.
4. Separazione da Dio, percepito lontano, estraneo, inarrivabile; più un’idea trascendente che una relazione.
5. Percezione della vita come rottura con le generazioni passate e anche con quelle future viste come minaccia e non come speranza: la forte denatalità che segna il nostro paese è un segnale allarmante: non nascono più bambini. La morte vista come annientamento, l’umanità non percepita più come comunità dei viventi e la felicità come chimera.
Separato dagli altri, dalla vita, dalla natura e da Dio, l’uomo per far presa sulla realtà si affida al potere direttamente esercitato o delegato, ma inteso come crescita illimitata nell’autonomia e nell’autodeterminazione. Anche i discepoli travisano la missione di Gesù come potere.
2. Salire in alto per guardare oltre.
Gesù, trasportando i suoi sul monte alto, propone un’altra qualità dello sguardo, quello che aiuta a vedere con altri occhi la realtà di Gesù e della vita. Gesù vuole mettere a fuoco nel loro profondo questa diversità di sguardo perché, un giorno, nella prova della passione, riuscissero a resistere e ad andare avanti come vedendo l’invisibile (Cfr. Eb 11,27), quel che con uno sguardo corto non sarebbero riusciti a vedere. Si mostrò loro trasfigurato perché questa visione si incidesse così fortemente in loro che il giorno in cui lo avessero poi visto sfigurato dal dolore e dal cammino di morte potessero vedere in lui anche tutta la luce e la chiarezza del suo amore. Il chicco di grano che muore sotto terra e porta il frutto nella spiga piena della comunione. Il seme che si consegna solo alla terra, risorge non più solo, ma ricco di tanti altri semi.
Chiediamoci cosa può suggerire oggi a noi sia come Chiesa sia come società la Trasfigurazione. Per uscire dalla scissione, dalla separazione foriera di morte, solo l’annuncio della vita come relazione, solo gli eventi di accoglienza dell’altro, possono segnare una nuova nascita. Si squarcia la nube della non conoscenza quando la voce del Padre rivela la sorgente della vita nella relazione della figliolanza: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 3,17).
Ieri sera abbiamo assistito alla meravigliosa liturgia del lucernale e abbiamo ascoltato le parole di Pietro il Venerabile, sommo cantore del mistero della Trasfigurazione: «Su quel monte il Padre si manifestò nella voce, il Figlio nella sua carne trasfigurata, lo Spirito Santo nella nube luminosa. Vedete, fratelli, la gloria di questa solennità, la rivelazione della Trinità, il mistero della risurrezione. Il Padre fa sentire la sua voce, il Figlio si trasfigura, lo Spirito Santo stende la sua ombra» [2].
Solo quando ci riconosciamo figli, conosciamo la nostra vera identità e cioè di esseri in relazione: la relazione innanzitutto con la nostra origine che è in Dio.
Io sono nato per amore, sono un dono vivente: la vita ci è data gratis e la filialità ci costituisce nella fraternità. Io non sono senza l’altro, noi siamo tutti figli e fratelli con la stessa dignità e senza rapporti di potere dell’uno sull’altro. Sta qui la radice della sinodalità e della società.
La sinodalità, che è il tema del prossimo anno, va accolta quindi dal mistero della Trinità, accettando la condizione di figli: solo se ci riconosciamo figli di Dio, possiamo riconoscere gli altri fratelli e figli dello stesso Padre.
Carissimi vi auguro con tutto il cuore di gustare questa festa, magari senza la cornice esterna. Quest'anno il Covid-19 ci ha costretti ad essere essenziali: cogliamo l'essenza di questa festa che sta nel quandro e non nella cornice.
Approfittiamo - ci ha detto Papa Francesco - di questo tempo senza sprecarlo, ma cerchiamo di comprendere che il Signore attraverso questa esperienza può fare cose meravigliose. Sta qui l'onnipotenza di Dio: saper trarre anche dal male tutto il bene possibile. Sono sicuro che, dopo questa prova, ne usciremo tutti vittoriosi e arricchiti da un'esperienza nuova.
Auguro a tutti una buona festa, interiore e profonda, della Trasfigurazione. E gridiamo con gioia: Viva Gesù Salvatore!
[1] Cfr. R. Mancini, L’ontologia della comunione nella vita della Chiesa: una prospettiva filosofica, Padova, 12 aprile 2019.
[2] Pietro il Venerabile, Dal Sermone sulla Trasfigurazione del Signore.